martedì 2 agosto 2011
Il karate è per la vita...
mercoledì 27 aprile 2011
IL PROGRAMMA ELETTORALE COPIA-INCOLLA: IL CASO DI BADIA CALAVENA
martedì 22 febbraio 2011
Una piaga incentivata

Il gioco d’azzardo rappresenta un importante capitolo d’entrata nel bilancio statale. Un tempo definito dai più “immorale”, svolto nell’ombra, lo ritroviamo oggi ovunque, tollerato e, mi preme dirlo, incentivato. Nell’ultimo decennio l’azzardo è stato al centro di numerosi interventi normativi che l’hanno trasformato, legalizzato e liberalizzato. Le definizioni “gioco legale” o “gioco sicuro” nascono in questi anni per indicare quelle attività soggette a regolamentazione del monopolio statale. La promozione statale non è un segnale del fatto che non c’è nulla di male a giocare d’azzardo?
Quindi dove sta il problema?
Il gioco si insinua in ogni aspetto della società: nei bar, sui giornali, negli sponsor delle squadre calcistiche, su internet, sui cartelloni stradali e in televisione sia negli spazi pubblicitari, sia negli spazi che dovrebbero essere riservati all’informazione (brilla il trafiletto che ogni settimana vediamo in basso a sinistra del teleschermo durante l’edizione del tg1-tg2). Un vero business che ha fatturato nel 2003 circa 20,6 miliardi di euro a fronte dei 5,1 del 1990. Per avere un’idea ben precisa dell’importanza dei media nell’incentivare il gioco basti pensare che il gruppo Snai nel corso del 2000 ha investito in appoggio alle scommesse sportive: circa 7,2 milioni di euro per cinque mesi di spot sulle reti Rai, Mediaset, Stream, Snai Sat e 120 emittenti locali collegate a Crai S.r.l (una società affiliata Snai). Massicce pure le campagne pubblicitarie promosse da Lottomatica e Sisal, rispettivamente per Lotto e SuperEnalotto.
Sembra che la differenziazione dell’offerta con diversi prodotti, la diffusione via internet ed il sempre più facile accesso inducano ad una maggiore crescita dell’azzardo; questo spiegherebbe la nascita delle innumerevoli formule con le quali il cittadino soddisfa il proprio bisogno. Poker online, Gratta e Vinci, Totogol, Totosei, scommesse sportive, Bingo, Lotto, scommesse sull’ippica, Totip, Corsa Tris, Totocalcio, casinò, lotterie e non ultima il Win for Life. Le vincite occupano le prime pagine dei giornali; chi vince (si presume) è quasi sempre un disagiato, il montepremi Superenalotto si classifica sempre come “re dell’informazione” ed il suo successo commerciale lo si deve quasi esclusivamente a ciò: chi non spenderebbe due euro per guadagnarne ben 168 milioni? Vincere è possibile anche se si ha una possibilità su 622.614.630. Ne è convinto anche il fisco che calcola un’entrata fiscale di circa 4.000 euro al minuto per il solo Superenalotto.
Le trasmissioni sul poker online sono nate negli ultimi anni, quasi in concomitanza con la diffusione del “poker texas” tra i giovani. Una coincidenza? E da quanto tempo sono nati i poker via internet?
Win for life rappresenta l’ultimo arrivato; al vincitore una vincita di 6.000 euro per vent’anni, psicologicamente parlando il regolamento cerca di presentare la vincita agli occhi del consumatore come uno stipendio che renderà la vita, dipinta dalla famosa pubblicità, più “spensierata e leggera”.
Nel 2007 il fisco ha incassato un totale di 6,7 miliardi di euro dalla strabiliante cifra che gli italiani hanno speso in totale nello stesso anno pari a 42,2 miliardi di euro (erano 14,3 miliardi di euro nel 2000, 18 del 2002, 23,1 nel 2004, 28 nel 2005, 35,2 miliardi di euro nel 2006).
Ciò che non si racconta nei telegiornali sono i pesanti costi sociali che il gioco d’azzardo provoca tra la popolazione: i giocatori patologici in Italia sono infatti stimati in 700mila e il nostro sistema sanitario non è preparato ad aiutarli. La malattia del gioco rovina moltissime famiglie riducendole sul lastrico. L’indebitamento per gioco d’azzardo è la prima causa nazionale che alimenta l’usura e una delle prime per quel che concerne i casi di suicidio. Il presidente di Alea, associazione che studia il problema del gioco d’azzardo, Riccardo Zerbetto in una passata intervista riferiva: “Mancano strutture dove curarsi. Le famiglie dei giocatori compulsivi, sfibrate non solo economicamente, si rivolgono ancora a parroci e medici di base. Solo a gennaio sono stati definiti i livelli di cura per paziente, in modo da determinare i costi di cura per le regioni. Le richieste, dove ci sono servizi specialistici regionali, sono invece in aumento. Senza contare che anche i parenti hanno bisogno di cure psicologiche. Senza contare che il giocatore non va ai Sert con drogati e alcolisti”.
Federico Maccadanza