martedì 2 agosto 2011

Il karate è per la vita...


Il Karate è un’arte marziale e, come per tutte le arti, per raggiungere la perfezione richiede uno studio profondo e un impegno costante. E’ da sempre considerato un eccellente tecnica di difesa personale e uno sport a tutti gli effetti anche se, definirlo come tale, risulta tanto incompleto quanto inesatto. Il karate sportivo (quello che vediamo alle gare per intenderci) rappresenta una recente acquisizione di questa antica forma di combattimento a mani nude; non deve essere quindi considerato il fine ultimo di un vero karateka. Il sensei (maestro) Keinosuke Enoeda scriveva in una pubblicazione: “pensando solo in termini utilitaristici di competizione otterremo come unico risultato quello di stravolgere il significato originale del karate, trasformandolo in uno sport come tanti altriI maestri devono quindi educare i loro allievi nella maniera giusta, attribuendo uguale importanza a ogni aspetto del karate”.Ricostruire dettagliatamente la storia di questa arte marziale risulta particolarmente difficoltoso, vuoi per la carenza di fonti storiografiche certe, vuoi per la farraginosità delle testimonianze tramandate principalmente per via orale di generazione in generazione. Il Karate si sviluppa principalmente nell’isola di Okinawa dove i nobili del luogo, signori appartenenti alla classe guerriera, praticavano un’arte marziale “segreta” (Okinawa-te) tramandata principalmente ai loro eredi. Nei secoli XVII e XVIII le condizioni di vita di tali signori cambiarono a causa di un costante impoverimento che spinse tali classi a praticare mestieri più redditizi come l’agricoltura e l’artigianato; gli storici attribuiscono a tale fatto la diffusione dell’ Okinawa-te nelle classi non appartenenti all’aristocrazia guerriera. Nel corso dei secoli grazie ai sempre più frequenti viaggi di mercanti e marinai, l’arte marziale autoctona delle isole Ryuku (delle quali Okinawa fa parte) si mescolò con forme  di combattimento cinese. Una prova della relazione tra Cina e Okinawa è fornita dalla testimonianza del mestro Anko Itosu il quale, in uno scritto, indica le origini del karate nelle arti marziali cinesi. Un primo tentativo di codicizzazione dei precetti del karate di Okinawa fu fatto dal maestro Kanga Sakugawa signore di Okinawa. La vera svolta che portò la conoscenza del karate fuori dai confini di Okinawa avvenne quando il maestro Gichin Funakoshi, fondatore dello stile Shotokan e padre del karate moderno, si esibì a Tokyo 1922. Egli intese questa affascinante arte marziale come un “sistema di disciplina interiore” capace di condizionare tutti gli aspetti della vita dei praticanti; era nato il Karate-do ovvero la “via del karate”, un misterioso, lento e difficile cammino dell’essere verso la perfezione e il suo compimento. La filosofia dello stile di karate shotokan, basata principalmente sullo zen e sul bushido (la via del guerriero), è contenuta nei venti principi (niju kun) esposti dallo stesso Funakoshi Gichin e che divennero le basi della disciplina ancora prima che gli stessi allievi del grande maestro fondassero nel 1949 la JKA (Japan Karate Association); la più importante e antica organizzazione per la diffusione del karate.

mercoledì 27 aprile 2011

IL PROGRAMMA ELETTORALE COPIA-INCOLLA: IL CASO DI BADIA CALAVENA


Cari lettori del Piave, ormai è tempo di elezioni comunali per moltissime amministrazioni presenti sul territorio veneto. Le liste sono già depositate presso i comuni con i relativi programmi elettorali. Il rispetto del programma elettorale durante il mandato dell’amministrazione ed il relativo mantenimento delle promesse fatte in campagna elettorale è forse il fattore che sta più a cuore all’elettore. Il caso che mi accingerò a descrivere però non rientra in questa fattispecie poiché, se il programma della lista “l’Altra Badia” (appoggiata da PDL e Lega con candidato sindaco Alessandro Anselmi) venisse attuato pedissequamente, il piccolo comune veronese verrebbe incluso nella Provincia di Bergamo. Chissà cosa avranno pensato i cittadini di Badia Calavena leggendo il programma elettorale depositato in comune dalla lista sfidante dell’attuale maggioranza alla pagina 13 dove recita: “Essendo Badia Calavena un paese di piccole dimensioni è opportuno intervenire nel settore ambientale in sintonia con tutti i paesi limitrofi impegnandoci a creare commissioni intercomunali per la soluzione dei problemi relativi ad inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico, in collaborazione con le maggiori attività produttive presenti nella zona a sud di Bergamo secondo quanto previsto dal programma Agenda 21”. Il dubbio pressante di un lapsus geografico naufraga dopo aver letto il programma elettorale depositato presso il Comune di Azzano San Paolo in provincia di Bergamo dalla Lega Nord per le elezioni comunali del 2009. I due programmi sono sostanzialmente identici; qualche rattoppo, qualche taglio, nulla di più. La svista di un copia-incolla così superficiale (tanto da lasciare invariata la provincia di appartenenza) ha suscitato non pochi malumori tra i cittadini di Badia Calavena che, dovendo scegliere il loro sindaco sulla base di importanti programmi di sviluppo della durata di cinque anni, si ritrovano un programma elettorale scopiazzato da quello di un comune bergamasco con differenti esigenze e peculiarità. Risulta fragoroso anche il silenzio del principale organo di stampa locale “l’Arena” che, tanto solerte a fare previsioni sull’esito delle prossime elezioni amministrative, evita (intenzionalmente o meno) di riportare nelle proprie colonne fatti che vanno inevitabilmente a ripercuotersi sulla già fragile fiducia che gli italiani hanno verso la politica. Per confrontare i due programmi visitate http://comuneazzanosanpaolo.gov.it/installazioni/azzano/allegati/consiglio/1/LegaNord.pdf (Azzano San Paolo) e http://albo.cst.vr.it/publishing/AP/docDetail.do?docId=1553 (Badia Calavena).

Federico Maccadanza 

martedì 22 febbraio 2011

Una piaga incentivata


Il gioco d’azzardo rappresenta un importante capitolo d’entrata nel bilancio statale. Un tempo definito dai più “immorale”, svolto nell’ombra, lo ritroviamo oggi ovunque, tollerato e, mi preme dirlo, incentivato. Nell’ultimo decennio l’azzardo è stato al centro di numerosi interventi normativi che l’hanno trasformato, legalizzato e liberalizzato. Le definizioni “gioco legale” o “gioco sicuro” nascono in questi anni per indicare quelle attività soggette a regolamentazione del monopolio statale. La promozione statale non è un segnale del fatto che non c’è nulla di male a giocare d’azzardo?

Quindi dove sta il problema?

Il gioco si insinua in ogni aspetto della società: nei bar, sui giornali, negli sponsor delle squadre calcistiche, su internet, sui cartelloni stradali e in televisione sia negli spazi pubblicitari, sia negli spazi che dovrebbero essere riservati all’informazione (brilla il trafiletto che ogni settimana vediamo in basso a sinistra del teleschermo durante l’edizione del tg1-tg2). Un vero business che ha fatturato nel 2003 circa 20,6 miliardi di euro a fronte dei 5,1 del 1990. Per avere un’idea ben precisa dell’importanza dei media nell’incentivare il gioco basti pensare che il gruppo Snai nel corso del 2000 ha investito in appoggio alle scommesse sportive: circa 7,2 milioni di euro per cinque mesi di spot sulle reti Rai, Mediaset, Stream, Snai Sat e 120 emittenti locali collegate a Crai S.r.l (una società affiliata Snai). Massicce pure le campagne pubblicitarie promosse da Lottomatica e Sisal, rispettivamente per Lotto e SuperEnalotto.

Sembra che la differenziazione dell’offerta con diversi prodotti, la diffusione via internet ed il sempre più facile accesso inducano ad una maggiore crescita dell’azzardo; questo spiegherebbe la nascita delle innumerevoli formule con le quali il cittadino soddisfa il proprio bisogno. Poker online, Gratta e Vinci, Totogol, Totosei, scommesse sportive, Bingo, Lotto, scommesse sull’ippica, Totip, Corsa Tris, Totocalcio, casinò, lotterie e non ultima il Win for Life. Le vincite occupano le prime pagine dei giornali; chi vince (si presume) è quasi sempre un disagiato, il montepremi Superenalotto si classifica sempre come “re dell’informazione” ed il suo successo commerciale lo si deve quasi esclusivamente a ciò: chi non spenderebbe due euro per guadagnarne ben 168 milioni? Vincere è possibile anche se si ha una possibilità su 622.614.630. Ne è convinto anche il fisco che calcola un’entrata fiscale di circa 4.000 euro al minuto per il solo Superenalotto.

Le trasmissioni sul poker online sono nate negli ultimi anni, quasi in concomitanza con la diffusione del “poker texas” tra i giovani. Una coincidenza? E da quanto tempo sono nati i poker via internet?

Win for life rappresenta l’ultimo arrivato; al vincitore una vincita di 6.000 euro per vent’anni, psicologicamente parlando il regolamento cerca di presentare la vincita agli occhi del consumatore come uno stipendio che renderà la vita, dipinta dalla famosa pubblicità, più “spensierata e leggera”.

Nel 2007 il fisco ha incassato un totale di 6,7 miliardi di euro dalla strabiliante cifra che gli italiani hanno speso in totale nello stesso anno pari a 42,2 miliardi di euro (erano 14,3 miliardi di euro nel 2000, 18 del 2002, 23,1 nel 2004, 28 nel 2005, 35,2 miliardi di euro nel 2006).

Ciò che non si racconta nei telegiornali sono i pesanti costi sociali che il gioco d’azzardo provoca tra la popolazione: i giocatori patologici in Italia sono infatti stimati in 700mila e il nostro sistema sanitario non è preparato ad aiutarli. La malattia del gioco rovina moltissime famiglie riducendole sul lastrico. L’indebitamento per gioco d’azzardo è la prima causa nazionale che alimenta l’usura e una delle prime per quel che concerne i casi di suicidio. Il presidente di Alea, associazione che studia il problema del gioco d’azzardo, Riccardo Zerbetto in una passata intervista riferiva: “Mancano strutture dove curarsi. Le famiglie dei giocatori compulsivi, sfibrate non solo economicamente, si rivolgono ancora a parroci e medici di base. Solo a gennaio sono stati definiti i livelli di cura per paziente, in modo da determinare i costi di cura per le regioni. Le richieste, dove ci sono servizi specialistici regionali, sono invece in aumento. Senza contare che anche i parenti hanno bisogno di cure psicologiche. Senza contare che il giocatore non va ai Sert con drogati e alcolisti”.

Federico Maccadanza

Tenue ripresa senza lavoro: il caso Verona

Camera di commercio: è boom di cassa integrazione straordinaria e in deroga
La difficile situazione economica mondiale sembra alleggerirsi tra le righe dei bilanci aziendali scaligeri; i bilanci tornano lentamente in positivo e le richieste per la cassa integrazione ordinaria sono calate rispetto i precedenti trimestri (700 mila nel terzo trimestre 2009 a fronte delle attuali 627 mila). Se da un punto di vista formale si potrebbe affermare l’esistenza di una leggera ripresa dell’economia veronese, uno studio congiunto della Camera di Commercio e dell’Università di Verona ha sottolineato come la provincia scaligera sia interessata da quello che gli economisti definiscono come “jobless recovery” ovvero una ripresa senza lavoro.
I bilanci tornano in “nero” cioè con segno positivo espellendo forza lavoro quindi lasciando per strada sempre più famiglie; da qui il dato preoccupante inerente l’aumento della disoccupazione che passa dal 4,7% del 2009 all’attuale 6%. La disoccupazione giovanile raggiunge il 29%. La forza lavoro che viene espulsa è composta in genere da tutti quei soggetti che hanno contratti cosiddetti “precari” non a tempo indeterminato. Il fenomeno ha generato nell’ultimo trimestre del 2010 un’esplosione della cassa integrazione straordinaria e di quella in deroga cioè di strumenti a cui si ricorre quando le difficoltà permangono e ci si appresta a licenziare i dipendenti. Si tratta incontrovertibilmente di un fatto serio che non va sottovalutato anche alla luce dei dati passati; si pensi come nel 2008 la “straordinaria” e quella “in deroga” fossero praticamente inutilizzate.
Secondo alcuni sindaci della zona la situazione è molto grave. Antonio Casu, primo cittadino di San Bonifacio, vede nero: «Negli ultimi mesi ci stiamo occupando di 24 famiglie con minori che hanno ricevuto lo sfratto esecutivo, e i ritardi con gli affitti sono diventati un problema sociale». Mario Faccioli, sindaco di Villafranca, vede la crisi di un modello: «Il sistema delle piccole imprese negli anni passati permetteva i cosiddetti travasi orizzontali: cioè se andava male il tessile, per esempio, ci si metteva a lavorare il vetro. Ora però il mercato subisce una contrazione complessiva».
Il rettore dell’Università di Verona Mazzucato sottolinea il filo che lega le proteste studentesche all’attuale situazione lavorativa: «Dietro agli slogan e ai gesti clamorosi - osserva - questi ragazzi lanciano un allarme che va ascoltato, perché l'Italia è l'unico grande Paese che in concreto ha dimostrato di non credere nel proprio capitale intellettuale. Di fatto abbiamo affrontato passivamente la crisi, tagliando la spesa senza fare investimenti per la crescita».
Secondo il comandante dei Carabinieri colonnello Paolo Edera «In questo momento - afferma - è forte il rischio d'infiltrazioni criminali nell'economia locale. Non penso alle grandi aziende che sanno come parare i colpi. Penso alle piccole imprese che magari hanno difficoltà a farsi prestare soldi dalle banche. Molti imprenditori possono essere tentati di accettare denaro da personaggi oscuri, che praticano l'usura e alla fine gli scippano l'attività». (fonte delle interviste Corriere del Veneto).
Federico Maccadanza

lunedì 29 novembre 2010

emergenza incompresa

Chi afferma la fine dell’emergenza alluvione in Veneto mente pur non sapendo di mentire. Nel nostro paese perdura da tempo la perversa convinzione, non solo della classe politica ma della società in generale, di classificare l’importanza dei fatti solo in relazione della loro popolarità mediatica. Ne sono stato testimone io stesso che, pur abitando nelle vicinanze di Monteforte, Soave e San Bonifacio, i paesi del veronese più colpiti, ho appreso la tragica notizia degli avvenimenti del 1 e 2 novembre dai principali media nazionali. Dopo i primi giorni definiti dei “giornalisti spaventati” (termine usato molto efficacemente da Marco Paolini nel suo celebre spettacolo sul Vajont per definire i giornalisti paracadutati dalle redazioni nei luoghi delle catastrofi) scompare ogni traccia dell’emergenza veneta sulle prime dei media, evidentemente per lasciare spazio all’ormai nauseante servizio dall’esterno di casa Misseri o all’arrivo in ferrari di Ruby in discoteca. Ciò che non passa in televisione non esiste. L’emergenza veneto viene semplicemente considerata conclusa perché semplicemente non se ne parla; un fatto che perde popolarità mediatica perde rilevanza nell’agenda politica. A Monteforte, Soave e San Bonifacio la situazione è molto cambiata rispetto alle prime ore di emergenza ma restano irrimediabilmente moltissimi danni. Le perdite non colpiscono solo le case e i negozi, il mobilio o le macchine. I danni più gravi colpiscono aziende di ogni tipo e grado: le vere fonti di ricchezza della nostra terra. Un piccolo imprenditore titolare di un sistema di produzione “a tecnologia medio-alta” deve sostenere spese altissime per la bonifica dei macchinari. Sono altissimi i costi per costruire daccapo un allevamento. I trasferimenti degli organi statali e regionali sono insufficienti se non tempestivi: la maggior parte degli imprenditori hanno espresso la preoccupazione per il tempo necessario al risarcimento. La piccola-media impresa non dispone del credito delle grandi aziende o dei servizi agevolati presso gli istituti bancari elargiti con copiosa generosità ai “big” dell’industria. Il piccolo imprenditore trae la ricchezza dalla produzione ora irrimediabilmente compromessa; le aziende che bonificano i macchinari danneggiati esigono subito gli anticipi e poi il saldo a lavoro terminato. Lo stesso vale per l’acquisto dei macchinari. Riprendere subito l’attività è fondamentale per il rispetto degli ordini di produzione che significa vita per le imprese e per i rispettivi dipendenti. Per rialzarsi l’impresa veneta ha bisogno dei risarcimenti subito perché il ritardo dovuto a problemi di carattere burocratico o elettorale, può significare la morte per moltissime aziende. Una soluzione potrebbe essere costituita dalla garanzia dello Stato, della Regione o dell’Unione Europea per la copertura delle spese di bonifica o riacquisto dei beni produttivi. Così facendo le aziende potrebbero finalmente acquistare i beni per riattivare la produzione e rispettare gli ordini di consegna. I vantaggi fiscali o il congelamento delle addizionali non sono sufficienti in una realtà dove la ricchezza è dovuta all’operosità giornaliera ed al rispetto degli ordinativi a breve termine. Sembra che le istituzioni non abbiano capito la vera utilità dei trasferimenti d’emergenza: non quella di fare cassa al richiedente ma quella di permettere alle realtà produttive la ripresa della quotidianità.
Federico Maccadanza

lunedì 15 novembre 2010

Compagnie telefoniche

Cari amici de “Il Piave”, chi di voi non ha mai avuto qualche piccola discussione con qualche azienda di servizi? Chi di voi non ha mai avuto motivo di lamentela con una compagnia telefonica, con una società che gestisce l’acqua, con la società dell’energia elettrica o con addirittura la stessa banca per qualche voce incomprensibile di spesa presente sul resoconto bancario?

I dossier forniti da Federconsumatori sono allarmanti, in particolare quelli concernenti le telecomunicazioni; il tasto dolente per i consumatori sono i contratti telefonici (anzi le loro disdette) seguiti dai servizi e dai rapporti con le banche. Nella sola regione del Veneto su 3.403 pratiche istituite dalla Federconsumatori ben 1.122 riguardano problemi con enti di telefonia che hanno proposto agli utenti cambi di gestione. La fascia sociale che più rivolge alle associazioni dei consumatori sono i pensionati.

Ma come avviene il complesso meccanismo che “incastra” l’utente in un nuovo contratto telefonico?

Gli operatori telefonici contattano gli utenti telefonicamente proponendo loro il cambio di gestore, sciorinando dati. Per accettare all’utente basta un semplice “si”e si ritrova inevitabilmente con un nuovo contratto telefonico. In caso di recesso tuttavia l’utente è obbligato a spedire all’operatore telefonico una raccomandata con ricevuta di ritorno e poi attendere i tempi tecnici previsti. Una pratica che, di certo, non favorisce assolutamente l’utente. La possibilità di adottare, da parte delle compagnie, strategie di marketing al limite dell’illecito sottolinea ancora una volta la farraginosità legislativa e regolativa italiana; il dover ricorrere a chiamate defaticanti, invii di fax e raccomandate contro la semplice conferma orale per l’attivazione, indebolisce il soggetto economicamente più svantaggiato (l’utente). I consumatori si ritrovano sprovvisti di rimedi rapidi ed efficaci anche di fronte ad evidenti illeciti perpetrati dalle compagnie le quali, confidando nelle ovvie difficoltà burocratiche ed economiche dei soggetti “deboli”, continuano indisturbate nelle loro poco corrette attività. Un nodo assai problematico è rappresentato dall’inadeguatezza del normale ricorso agli organi competenti (AGCOM, Garante per la protezione dei dati personali, Tribunale e Procura della Repubblica) spesso caratterizzati sia da un certo immobilismo in materia sia dall’esagerata dilatazione temporale dei termini. In sostanza vi è una pletora di istituti giuridici poco adatti a fronteggiare problematiche tanto specifiche quanto camaleontiche; concepiti per altre situazioni e per la tutela di altri diritti, tali istituti non soddisfano le necessità di efficacia (per le irrisorie sanzioni) e speditezza (per l’eccessiva durata del procedimento di ricorso) che le fattispecie del caso richiedono. Una soluzione potrebbe essere costituita da un’autorità amministrativa indipendente con potere istruttorio e sanzionatorio caratterizzata da una certa flessibilità piuttosto che da un’ulteriore ricorso alla legificazione ordinaria. Concludendo occorre stabilire regole certe nella stipulazione dei contratti che diano finalmente al cittadino utente la possibilità di ricevere esclusivamente ciò che richiede permettendo a quest’ultimo di scegliere il contratto nella più completa trasparenza e consapevolezza.

Federico Maccadanza

martedì 7 settembre 2010

Milena Gabanelli e Report vincono il premio alla passione civile



La giornalista freelance nota per le sue inchieste ha ricevuto il riconoscimento voluto da Giuseppe e Raffaella Trabucchi

“Per intelligenza comunicativa, per la volontà di sapere, ancor più della curiosità, capace di porre a distanza le cose, guardando in profondità la realtà e il suo significato”. Sono poche le parole che motivano l’assegnazione del premio consegnato a Villa Trabucchi lo scorso 5 settembre ad una donna che indubbiamente ha contribuito a scrivere le pagine del giornalismo moderno. Magra, quasi gracile, ma dotata di una determinazione leonina, Milena Gabanelli da 14 anni compie inchieste giornalistiche sui temi più scottanti della storia italiana. Dal 1997 conduce la nota trasmissione Report un appuntamento periodico di informazione come naturale evoluzione di Professione Reporter. Il programma si occupa dei problemi più disparati, dalla salute, alle ingiustizie e inefficienze dei servizi pubblici che il cittadino rileva quotidianamente, alle scelte future dell'uomo che possono comportare rischi. La Gabanelli ha collaborato come inviata per Mixer in diversi paesi del mondo per raccontare le atrocità della guerra (ex Jugoslavia, Cambogia, Vietnam, Birmania, Sudafrica, Palestina, Mozambico, Somalia, Cecenia). Nel 1991 introduce il videogiornalismo lavorando da sola dietro alla telecamera. Tra le inchieste più note di Report ricordiamo quelle sul petrolchimico di Marghera, sull’omicidio di Ilaria Alpi, sul ponte sullo Stretto di Messina, sui compensi dei Parlamentari. Nell’intervista successiva l’assegnazione del premio rilasciata al quotidiano “l’Arena” la Gabanelli, commentando il tempo passato dalla prima messa in onda di Report afferma: "Sono passati 14 anni. E li sento tutti. Li sento sulle spalle. Li sento dappertutto. E non solo per i 300 milioni che complessivamente mi hanno pretestuosamente chiesto... Noi lavoriamo sempre alla stessa maniera, abbiamo affinato il metodo, è aumentata l'esperienza e la mia squadra è, io credo, composta dai migliori su piazza. Nel corso di questi anni abbiamo cambiato direttore quattro volte, ma abbiamo sempre instaurato un rapporto di lealtà e condiviso la passione per quello che si faceva" aggiunge "In questo momento mi sembra di lavorare per un'azienda che mi tollera. E non è una sensazione piacevole. Nessuno mi sta mettendo condizioni, dicendo no a questo o no a quello. Siamo liberi di scegliere gli argomenti che vogliamo, ma condividere è diverso da sopportare". Il premio “alla passione civile” è stato assegnato nelle edizioni precedenti a Gino Strada, Ascanio Celestini e a Marco Paolini, celebre attore teatrale noto per le sue orazioni civili sul Vajont e sulla tragedia di Ustica.