lunedì 31 marzo 2008

Angelo Panebianco...

Vi propongo un bellissimo articolo tratto dal Corriere della Sera.
Il pezzo di Panebianco invita ad un'analisi attenta delle reali cause e responsabilità nella vicenda "Alitalia".
Buona lettura!

CORDATE

Pasticci con le ali


di Angelo Panebianco

Fino a qualche giorno fa niente sembrava in grado di animare la campagna elettorale. Si parlava soprattutto delle somiglianze fra i programmi dei due principali contendenti. Poi è esplosa la questione Alitalia. A tre settimane dal voto, è diventato il tema su cui le forze politiche (a cominciare da Berlusconi, con la sua proposta di una cordata italiana da contrapporre ad Air France) sembrano puntare per mettere in difficoltà gli avversari. Niente di peggio poteva accadere poiché, come ha osservato Sergio Romano (Corriere, 23 marzo), una questione così grave richiederebbe di essere trattata con una serietà che è difficile ottenere da forze politiche impegnate a sgambettarsi in una campagna elettorale.

Si intrecciano tre questioni. La prima riguarda i giochi interni al sistema dei partiti. Si sono delineate alleanze trasversali in cui ciascuno crede di avere la propria convenienza. Se Berlusconi, a nome del «partito del Nord», cerca di mettere in difficoltà Veltroni, i piccoli, a loro volta, hanno trovato un varco per picchiare duro sui grandi. Così, la Sinistra Arcobaleno apre a Berlusconi su Alitalia contro il Partito democratico (suo diretto concorrente a sinistra), mentre Casini, concorrente al centro del Popolo della Libertà, polemizza con Berlusconi e si schiera col Partito democratico.

La seconda questione (la più esplosiva, almeno in prospettiva) riguarda la spaccatura Nord/Sud, Milano contro Roma. E’ il problema del declassamento di Malpensa e delle sue vere o presunte conseguenze per lo sviluppo del Nord. E’ difficile non notare che le divisioni politiche su Malpensa rispecchiano abbastanza fedelmente la geografia elettorale italiana.

Infine, c’è la questione sindacale. I sindacati, corresponsabili del disastro Alitalia, cercano anch’essi di sfruttare le divisioni politiche e rinviare il momento in cui pagare il conto degli errori accumulati. Sarebbe interessante capire se davvero essi credono che i giochi del passato possano essere riprodotti all’infinito, se credono che, senza la vendita a un compratore credibile, il fallimento dell’azienda possa essere evitato.

Naturalmente, i sindacati possono ancora contare su sponde politiche di un certo peso (come segnala la dissociazione del ministro Bianchi dalla posizione ufficiale del governo Prodi). E’ un pasticcio colossale nel quale, per giunta, è difficile stabilire chi guadagnerà elettoralmente e chi perderà. Prendiamo il caso dell'elettorato del Nord. Ci sono certamente cittadini sensibili alla difesa di Malpensa da parte della Lega e di Forza Italia così come ce ne sono molti affezionati all'idea della «compagnia di bandiera». Ma ce ne sono anche altri che si domandano se non sia peggio lasciare le cose come stanno, col rischio di continuare a far pesare sui contribuenti (magari anche in violazione delle regole europee) i costi di un’azienda in dissesto che si sarebbe dovuto far fallire oppure vendere già molti anni or sono.

Pessimo argomento da campagna elettorale, il caso Alitalia è una buona dimostrazione di cosa succede quando i dibattiti accademici su «statalismo e liberismo» lasciano il campo alla politica vera e alla lotta sempre prosaica (anche se ammantata di sacri principi) fra gli interessi organizzati, aziendali, territoriali o sindacali che siano.

25 marzo 2008

Alice nel Paese delle meraviglie...Il Partito dei Pensionati in Italia.

E' bello vivere in un mondo senza responsabilità e raziocinio.
Un limbo quasi mistico chiamato campagna elettorale; un circo dove il compromesso tra parti scompare di colpo e tutto diventa possibile...non mi stupirei se, alla chiusura della campagna, qualcuno prometesse la pensione ad un disoccupato...
Ora basta scherzare parliamo di cose "serie"...
Questi sono i punti del programma dei "Pensionati":

  • Pensione di reversibilità al 100%!
  • Meno tasse ai pensionati
  • Più posti di lavoro ai giovani
  • Adeguamento delle pensioni agli aumenti contrattuali dei lavoratori
  • Libera scelta dell’età di pensione
  • Pensione d’invalidità anche agli ultra 65enni
  • Pensione anticipata ai familiari di non autosufficienti
  • Contributi alle famiglie che assistono gli anziani non autosufficienti
  • Raddoppio della indennità di accompagnamento!
  • Aumento di tutte le pensioni contro il caro-euro!
  • Libertà di tenersi i contributi in busta paga!
  • No al cumulo dei redditi tra coniugi!
  • No a pensioni minime da fame dopo anni e anni di lavoro!


Per carità sono punti nobili... mancano le case di marzapane e gli alberi dei bignè...
Tale piano è attuabile? No..perchè la copertura finanziaria è insufficiente.
Un programma che non spiega il COME (un problema tutto italiano) non ha valore...
Ritengo i "Pensionati" un partito lobbysta, demagogico e icoerente.
Allearsi con il Pdl significa accettare implicitamente la riforma Maroni.
Le due "missions" sembrano un tantino lontane... sbaglio?

martedì 25 marzo 2008

La simbologia della politica


La simbologia serpeggia nei cunicoli della politica da moltissimo tempo. Concetto sfuggente agli occhi del distratto ma lampante ad un osservatore attento. La ricerca del consenso vive di simboli, l'elettore ne viene catturato. Pochissimi sono quelli che esprimono il voto basandosi sul programma. Una campagna elettorale si basa sull'entusiasmo, sulla capacità di catturare l'elettore, sull'emozione che il simbolo crea...
Ve lo immaginate un comizio sull'abbassamento delle aliquote? E un'altro sulla copertura finanziaria necessaria all'implementazione di un pacchetto di riforme?
Una noia mortale!
Meglio utilizzare slogan e simboli... Maggiore appeal, meno responsabilità ed opportunità di "rettifica" una volta eletti.
Ma cosa sono i "simboli"?
Sono i flash elettorali usati da i nostri due candidati: donne e giovani in politica, meno tasse per tutti, fascisti e comunisti nella lista avversaria...
Non è mia intenzione criticare tali metodi; sono parte del linguaggio e della capacità di persuasione di un buon politico, sono regole implicite e come tali devono essere rispettate se si vuole raggiungere un risultato soddisfacente. L'elettore dovrebbe osservare e giudicare l'attendibilità di alcune affermazioni proferite in campagna elettorale.
Per quel che riguarda i candidati si è sempre criticato il metodo berlusconiano "delle vallette"...
Vi pongo una semplice domanda...
Perchè vengono candidate vallette, sportivi, personaggi dello spettacolo?
Per voti... sbaglio?
Perchè vengono candidati operai, imprenditori, donne e giovani, ecc.?
Per voti... l'operaio è un simbolo per gli operai, l'imprenditore è un simbolo per gli imprenditori, un giovane è simbolo per i giovani, la donna è un simbolo per le donne come la valletta è simbolo per chi guarda la tv come lo è lo sportivo per chi segue lo sport.
La metodologia è sempre la stessa solo che le vallette saltano subito all'occhio mentre l'operaio no perchè rappresenta una classe debole nel nostro sistema socio-economico (con tutta la mia buona fede). Ho notato che (per quel che concerne le candidature) il linguaggio politico veltroniano tende ad una simbologia "per classe e genere", mentre quello berlusconiano punta maggiormente a quella "per audience".
Nessuno viene scelto per capacità alle camere... se così fosse non esisterebbero gli identificativi "operaio", "imprenditore", "valletta"... si direbbe "ha capacità" o "non ha capacità".

Sono le regole della politica. Ma chi della politica fa parte, non dovrebbe rinfacciarle come caratteristiche univoche dell'avversario... benedetta ipocrisia camuffata da realismo!

F.M.

venerdì 21 marzo 2008

Dichiarazione Fini...



IL METODO SARKOZY - «In Italia - ha detto poi Fini, rispondendo alla domanda di un lettore - non si può applicare il modello Sarkozy-Attali che individua i migliori al di là delle appartenenze politiche. E questo perché in Francia il presidente viene eletto direttamente dal popolo, mentre da noi no. Qui si risponde al Parlamento e quindi alla coalizione che ti ha presentato, per cui aggirare le coalizioni è più difficile. La mia preferenza per il sistema francese in ogni caso è nota». E proprio il sistema elettorale ha fatto sì che Fini abbia accettato di fare il numero due di Berlusconi, senza velleità di una corsa solitaria: «Se avessimo un sistema in cui ci si candida con elezione diretta avrei probabilmente preso in considerazione una mia candidatura. Ma in Italia non è così: si vota per una coalizione e ci si deve presentare in Parlamento per ottenere un voto di fiducia». E per le elezioni che verranno? «Cerchiamo intanto di vincere queste elezioni, poi per le prossime vedremo».

In Italia si può applicare il modello Sarkozy-Attali...tutto sta nel buon senso del Parlamento e nel coraggio delle persone che ne fanno parte. Le riforme necessarie si devono fare. La cattiva abitudine "del Padrino" che il parlamentare ha assimilato nella logica "do ut des" non riguarda il bene pubblico. Coalizione significa accordi... siano fatti per la nazione per una volta. Almeno si tenti la strada di dare a gente competente la formulazione di disegni di legge importanti. Abbiamo già visto la competenza che gli "statisti" hanno dimostrato con leggi e contro leggi. Il "porcellum" è solo la punta dell'iceberg e quella che fa più notizia perché tocca più da vicino la partitocrazia.
Entrate nelle università... un ordinamento differente per ogni anno d'iscrizione... questo per colpa dell' irresponsabilità e dell'incompetenza...che fine ha fatto il concetto di "rule of law"?
Caro Fini... non venga a dire che preferisce il sistema francese... lei ha avuto la possibilità di far qualcosa per la legge elettorale (oltre che a votarla solo per interesse di coalizione) ma non lo ha fatto. Perchè? Per l'imminenza delle elezioni "già vinte"?
Verificheremo, quando Berlusconi lascerà la politica, la veridicità dell'affermazione:«Se avessimo un sistema in cui ci si candida con elezione diretta avrei probabilmente preso in considerazione una mia candidatura...

sabato 15 marzo 2008

Dal "Corriere della Sera"...

Con la campagna elettorale si riparla di e-government, cioè di informatizzare la pubblica amministrazione per spendere meno, semplificare la burocrazia e dare servizi migliori ai cittadini. In particolare il leader del Pdl Silvio Berlusconi, quando gli viene chiesto con quali tagli di spesa pubblica finanzierà la riduzione fiscale, risponde: con iniezioni di Stato digitale. Ovvero il rimedio meno impopolare tra quelli possibili. In realtà l'e-government non sembra dare benefici percepibili (e neppure risparmi) quando si limita a spalmare computer su strutture vecchie. Anzi: se usato male può far spendere di più. Mentre funziona, e molto bene, quando si accompagna alla riorganizzazione: ma proprio qui incontra gli ostacoli maggiori.
Il registro digitale delle imprese, introdotto dall' allora ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini negli anni Novanta, è considerato una delle migliori applicazioni di e-government. Prima, aprire una società per azioni era un calvario burocratico. Uno dei freni era la cosiddetta omologa del Tribunale, documento che veniva richiesto solo da 4 Paesi nel mondo. Quando ci si ripropose di semplificare l'operazione, si incontrò l'opposizione dei magistrati che si vedevano sottrarre un pezzo di potere. Tuttavia il ministro proseguì; e il risultato è che oggi per costituire una spa ci vogliono 24 ore. Al sistema delle imprese l'innovazione ha fatto risparmiare 260 milioni di euro. Altri risparmi per lo Stato (90 milioni di euro l'anno) li ha generati l'operazione Fisco online. Ma anche a livello locale i casi positivi non mancano: la telemedicina da quattro anni sta facendo spendere 700 mila euro in meno l'anno all'Asl di Treviso.
«Gli esempi di servizi innovativi non mancano dice il numero uno di Microsoft Italia Mario Derba -: dal sito Internet dei carabinieri, che stabilisce un nuovo tipo di dialogo coi cittadini, all'Intranet della Regione Veneto; dalla gestione sanitaria in Sardegna al progetto eDemocracy della Provincia di Genova ». Tuttavia sono casi isolati, che disegnano un' Italia a macchia di leopardo. E le riforme importanti, come la firma digitale, restano incompiute.
«In tutti i Paesi avanzati - dice Marco Mena di Between - si sta ragionando su come rendere più efficace l'azione dello Stato informatizzato. Quanto a noi, l'Italia con Bassanini è partita bene, ha mantenuto un certo impulso con Stanca ma poi ha rallentato. Il risultato è che l'e-government non ha ancora avuto un impatto forte, generalizzato e percepibile sulla qualità dei servizi al cittadino, sulla semplificazione della burocrazia e sui risparmi di spesa pubblica».
Una rivoluzione a metà. «Per completarla - sintetizza lo stesso Bassanini - la strada è quella di mettere insieme i vari pezzi di un sistema ancora frazionato attraverso una profonda riorganizzazione gestionale. Smaterializzando le operazioni, facendo comunicare sistemi che ancora non si parlano e soprattutto abbattendo i muri che separano le amministrazioni ». L'altro obiettivo è estendere le singole innovazioni positive. Una strada è quella seguita da Lucio Stanca, l'ex manager Ibm poi ministro dell'Innovazione con Berlusconi, con il finanziamento dei progetti di aggregazione multi-comunale. I risultati sono stati modesti, perché pochi Comuni creano innovazione e pochi imitano, o meglio «riusano», come si dice in gergo.
«Aggregare Stanca», ha ironizzato qualcuno. Anche se all'ex ministro viene riconosciuto il merito di aver indirizzato verso l'hi-tech parte dei finanziamenti prima destinati solo a ponti e strade. In epoca Prodi il ministro Luigi Nicolais ha incentivato i Comuni a «riusare». Mentre il ministro per gli Affari regionali Linda Lanzillotta ha concentrato le risorse su pochi progetti innovativi come l'infomobilità e la misurazione della customer satisfaction.
Se l'e-government non decolla, insomma, non è soltanto per inadeguatezza di fondi: il piano del Cnipa prevede la ragguardevole spesa di 6 miliardi in 3 anni, 2 nel solo 2008. Un ostacolo è la frammentazione delle competenze, a partire dal governo. Solo Bassanini ebbe la responsabilità complessiva di Funzione pubblica, e-government e Regioni. Berlusconi l'ha spezzata in 3, e non sempre scegliendo uomini pro-innovazione (il suo ex ministro della Funzione pubblica Luigi Mazzella si fece togliere il computer dalla scrivania perché «più adatto alle segretarie»). E anche nel governo Prodi non di rado si sono confrontate visioni contrastanti tra Nicolais e Lanzillotta.
Un altro problema è il ruolo del Cnipa, aspirante regista dello Stato digitale, alla cui testa c'è il fisico nucleare Fabio Pistella. «Stiamo creando una struttura che lavora per obiettivi — dice l'ex direttore dell'Enea — ma facciamo i conti con due limiti: la mancanza di un sistema di premi al merito e l'equilibrio delle competenze al nostro interno: tanti ingegneri e giuristi, pochi esperti di organizzazione». Per i suoi critici invece il Cnipa è un organismo «costoso e difficilmente riformabile», i cui compiti andrebbero affidati a una cabina di regia molto più leggera all'interno del ministero della Funzione pubblica.
Alla formazione di manager statali di alto livello avrebbe dovuto contribuire la creazione di un «Ena italiano» sul modello dell'Ecole Nationale d'Administration francese, unificando i 4 istituti esistenti. Ma l'Ena italiano, che faceva parte del programma Prodi, non è mai nato. Anche — si spiega — per l'opposizione del ministro Nicolais (collegio elettorale Napoli) che ha difeso l'«autonomia» del Formez, uno dei 4 istituti da unificare.

Edoardo Segantini

Articolo bellissimo.
Guardate che non si tratta delle solite "sciocchezze tecnologiche" tipo i robot che giocano a calcio.
Questo è il futuro della governance; un nuovo modo di interagire con la pubblica amministrazione. Alcuni di noi sono restii all'innovazione ma desidero sottolineare che il progresso ed il "well-fare" non è prerogativa univoca del politico decisore. L'utente-cittadino deve contribuire al cambiamento assimilando, col tempo, i nuovi modi di interazione.
Evidenzio la frecciata legittima ad un sistema di dipendenti pubblici che oltre ad essere autoconservativo si dimostra ostruzionista verso il rengineering organizzativo.
L'amministratore pubblico deve svolgere un servizio... non un lavoro.

Afghanistan... truppe si truppe no....ma chi lo conosce veramente?

Quante volte accendendo la tv o leggendo un giornale abbiamo ascoltato o letto ciò che i nostri politici avevano da dire sulla missione italiana in terra Afgana. Quante volte abbiamo discusso sulla possibilità di ritirare le truppe o inviare nuove attrezzature che siano “di pace e non di guerra”.

Ora i tempi sono cambiati; il dibattito parlamentare ha altri grattacapi e l’Afghanistan non è più al centro dell’audience. Personalmente ho avuto la grandissima fortuna di conoscere persone che hanno vissuto l’Afghanistan, militari che hanno messo a disposizione di un paese travagliato da continue guerre e repressioni la loro esperienza. Ascoltare le piccole storie di italiani così distanti dai salotti dove si parla il “politichese” ha permesso, in parte, di superare la mia personale ignoranza. I militari italiani in Afghanistan sono circa 2.350. Due i contingenti principali, nella capitale Kabul e a Herat, nell’ovest del Paese, entrambi inseriti nella missione Isaf della Nato; ad Eupol, la missione dell’Unione europea per la ricostruzione della polizia civile locale, partecipano invece una trentina di carabinieri.
In Afghanistan l’Italia in questo momento ha una doppia responsabilità: dal 6 dicembre scorso ha assunto a Kabul il Regional Command Capital, che per nove mesi sarà sotto la guida del generale Federico Bonato, mentre a Herat il generale Fausto Macor comanda tutte le forze Isaf che operano nella Regione Ovest, dove continua ad operare il Provincial reconstruction team a guida italiana.
A Kabul, in particolare, l’Esercito è presente con una unità di manovra (Battle group 3), che contribuisce alla sicurezza nell’area della capitale, un reparto logistico, uno di genieri, uno delle trasmissioni, un’aliquota Nbc (per la bonifica da aggressivi nucleari, biologici e chimici), personale di collegamento e di staff. A Kabul c’è anche una componente elicotteristica con tre AB212 e un CH 47. Un’ulteriore componente aeronautica è schierata ad Abu Dhabi e costituisce il reparto distaccato della 46/a aerobrigata: con 3 velivoli da trasporto C130J assicura il ponte aereo logistico con il teatro di operazioni.
A Herat, invece, l’Italia contribuisce alla gestione della base di supporto logistico (Fsb) a guida spagnola e coordina i quattro Prt della regione ovest del Paese (quei Team di ricostruzione con cui la Nato ha esteso la presenza della missione Isaf in tutto l’Afghanistan): oltre a quello di Herat, gestito direttamente dagli italiani, quelli di Farah, Badghis e Ghor. Il contributo militare è fornito essenzialmente dall’Esercito, con la Task force Lince, che gestisce il Prt di Herat, e dall’Aeronautica, con la task force Aquila. Presente a Herat anche un Task group di Forze speciali italiane, tre Operational and Mentoring Liaison Team (che affiancano l’esercito afgano con compiti addestrativi)e un nucleo di 16 militari della Guardia di Finanza per formare la polizia doganale afgana. La componente aerea è costituita da elicotteri (cinque Mangusta), un C130 da trasporto e aerei senza pilota Predator. I Prt si occupano sostanzialmente della costruzione di importantissime infrastrutture per la gestione della missione; tali opere resteranno parte del territorio e quindi di proprietà del paese. La formazione delle elementari istituzioni d’autorità come le dogane, la polizia e gli enti pubblici sono uno degli obiettivi della forza di pace e passaggio obbligato verso la costruzione di uno Stato in grado di servire le comunità. Parte dell’Afghanistan è tuttora di tipo feudale; i signori “di zona” controllano i traffici di droga e armi. La loro influenza si ripercuote anche sui rifornimenti destinate alle truppe NATO; è impensabile passare via terra in un territorio da loro controllato senza lasciare “doni”. La coercizione verso questi ultimi si rivela controproducente perché altamente destabilizzante e pericolosa per i militari ed i civili. I “clan” così regolati hanno una cultura sostanzialmente guerriera e difficilmente comprensibile dalla società occidentale. Imbracciare un AK47 a 14 anni significa realizzarsi, diventare adulto. La cultura sociale cambia totalmente nelle grandi (e ricche) città crocevia dei commerci verso l’Iran e la Turchia.

L’errore è considerare il popolo afgano arretrato; i mercanti hanno una spiccata capacità di contrattazione oltre ad un’abilità non comune nell’artigianato. Chi non ha osservato i buffi indumenti indossati nel deserto? Il confronto con le tute super tecnologiche dei militari ci farebbe sorridere. Provate a chiedere a qualsiasi militare italiano quanto avrebbe pagato nel deserto per avere un abito afgano e capirete quanto un uomo può vivere di stereotipi.