Quante volte accendendo la tv o leggendo un giornale abbiamo ascoltato o letto ciò che i nostri politici avevano da dire sulla missione italiana in terra Afgana. Quante volte abbiamo discusso sulla possibilità di ritirare le truppe o inviare nuove attrezzature che siano “di pace e non di guerra”.
Ora i tempi sono cambiati; il dibattito parlamentare ha altri grattacapi e l’Afghanistan non è più al centro dell’audience. Personalmente ho avuto la grandissima fortuna di conoscere persone che hanno vissuto l’Afghanistan, militari che hanno messo a disposizione di un paese travagliato da continue guerre e repressioni la loro esperienza. Ascoltare le piccole storie di italiani così distanti dai salotti dove si parla il “politichese” ha permesso, in parte, di superare la mia personale ignoranza. I militari italiani in Afghanistan sono circa 2.350. Due i contingenti principali, nella capitale Kabul e a Herat, nell’ovest del Paese, entrambi inseriti nella missione Isaf della Nato; ad Eupol, la missione dell’Unione europea per la ricostruzione della polizia civile locale, partecipano invece una trentina di carabinieri.
In Afghanistan l’Italia in questo momento ha una doppia responsabilità: dal 6 dicembre scorso ha assunto a Kabul il Regional Command Capital, che per nove mesi sarà sotto la guida del generale Federico Bonato, mentre a Herat il generale Fausto Macor comanda tutte le forze Isaf che operano nella Regione Ovest, dove continua ad operare il Provincial reconstruction team a guida italiana.
A Kabul, in particolare, l’Esercito è presente con una unità di manovra (Battle group 3), che contribuisce alla sicurezza nell’area della capitale, un reparto logistico, uno di genieri, uno delle trasmissioni, un’aliquota Nbc (per la bonifica da aggressivi nucleari, biologici e chimici), personale di collegamento e di staff. A Kabul c’è anche una componente elicotteristica con tre AB212 e un CH 47. Un’ulteriore componente aeronautica è schierata ad Abu Dhabi e costituisce il reparto distaccato della 46/a aerobrigata: con 3 velivoli da trasporto C130J assicura il ponte aereo logistico con il teatro di operazioni.
A Herat, invece, l’Italia contribuisce alla gestione della base di supporto logistico (Fsb) a guida spagnola e coordina i quattro Prt della regione ovest del Paese (quei Team di ricostruzione con cui
L’errore è considerare il popolo afgano arretrato; i mercanti hanno una spiccata capacità di contrattazione oltre ad un’abilità non comune nell’artigianato. Chi non ha osservato i buffi indumenti indossati nel deserto? Il confronto con le tute super tecnologiche dei militari ci farebbe sorridere. Provate a chiedere a qualsiasi militare italiano quanto avrebbe pagato nel deserto per avere un abito afgano e capirete quanto un uomo può vivere di stereotipi.
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