lunedì 29 novembre 2010
emergenza incompresa
lunedì 15 novembre 2010
Compagnie telefoniche
Cari amici de “Il Piave”, chi di voi non ha mai avuto qualche piccola discussione con qualche azienda di servizi? Chi di voi non ha mai avuto motivo di lamentela con una compagnia telefonica, con una società che gestisce l’acqua, con la società dell’energia elettrica o con addirittura la stessa banca per qualche voce incomprensibile di spesa presente sul resoconto bancario?
I dossier forniti da Federconsumatori sono allarmanti, in particolare quelli concernenti le telecomunicazioni; il tasto dolente per i consumatori sono i contratti telefonici (anzi le loro disdette) seguiti dai servizi e dai rapporti con le banche. Nella sola regione del Veneto su 3.403 pratiche istituite dalla Federconsumatori ben 1.122 riguardano problemi con enti di telefonia che hanno proposto agli utenti cambi di gestione. La fascia sociale che più rivolge alle associazioni dei consumatori sono i pensionati.
Ma come avviene il complesso meccanismo che “incastra” l’utente in un nuovo contratto telefonico?
Gli operatori telefonici contattano gli utenti telefonicamente proponendo loro il cambio di gestore, sciorinando dati. Per accettare all’utente basta un semplice “si”e si ritrova inevitabilmente con un nuovo contratto telefonico. In caso di recesso tuttavia l’utente è obbligato a spedire all’operatore telefonico una raccomandata con ricevuta di ritorno e poi attendere i tempi tecnici previsti. Una pratica che, di certo, non favorisce assolutamente l’utente. La possibilità di adottare, da parte delle compagnie, strategie di marketing al limite dell’illecito sottolinea ancora una volta la farraginosità legislativa e regolativa italiana; il dover ricorrere a chiamate defaticanti, invii di fax e raccomandate contro la semplice conferma orale per l’attivazione, indebolisce il soggetto economicamente più svantaggiato (l’utente). I consumatori si ritrovano sprovvisti di rimedi rapidi ed efficaci anche di fronte ad evidenti illeciti perpetrati dalle compagnie le quali, confidando nelle ovvie difficoltà burocratiche ed economiche dei soggetti “deboli”, continuano indisturbate nelle loro poco corrette attività. Un nodo assai problematico è rappresentato dall’inadeguatezza del normale ricorso agli organi competenti (AGCOM, Garante per la protezione dei dati personali, Tribunale e Procura della Repubblica) spesso caratterizzati sia da un certo immobilismo in materia sia dall’esagerata dilatazione temporale dei termini. In sostanza vi è una pletora di istituti giuridici poco adatti a fronteggiare problematiche tanto specifiche quanto camaleontiche; concepiti per altre situazioni e per la tutela di altri diritti, tali istituti non soddisfano le necessità di efficacia (per le irrisorie sanzioni) e speditezza (per l’eccessiva durata del procedimento di ricorso) che le fattispecie del caso richiedono. Una soluzione potrebbe essere costituita da un’autorità amministrativa indipendente con potere istruttorio e sanzionatorio caratterizzata da una certa flessibilità piuttosto che da un’ulteriore ricorso alla legificazione ordinaria. Concludendo occorre stabilire regole certe nella stipulazione dei contratti che diano finalmente al cittadino utente la possibilità di ricevere esclusivamente ciò che richiede permettendo a quest’ultimo di scegliere il contratto nella più completa trasparenza e consapevolezza.
Federico Maccadanza
martedì 7 settembre 2010
Milena Gabanelli e Report vincono il premio alla passione civile

La giornalista freelance nota per le sue inchieste ha ricevuto il riconoscimento voluto da Giuseppe e Raffaella Trabucchi
mercoledì 28 luglio 2010
STORIA DI UN ABISSO: LA SPLUGA DELLA PRETA
La Spluga della Preta ha contribuito più di qualsiasi altra grotta a scrivere la storia della speleologia; al suo interno si sono sperimentate nuove tecniche e nuovi modi di intendere l’esplorazione. Nessun uomo al mondo può affermare di conoscere veramente il suo mistero, generazioni di speleologi hanno tentato inutilmente di seguire le correnti d’aria per scoprire un’ipotetica uscita. La Preta inizia con un enorme pozzo profondo 131 metri la cui discesa deve essere fatta tutta nel vuoto su corda. Oltre al Ramo principale vi sono altre vie che, come nel caso della Via dell’X, si ricollegano al percorso principale. Le più famose sono i Rami del Nonno, la Via Nuova e la Via Nuovissima (esplorata per la prima volta nel 1978). Alla fine dell’abisso troviamo la leggendaria Sala Nera.
Dal 1988 al 1992 l’operazione “Corno d’Aquilio” ebbe l’obiettivo di ripulire la Spluga della Preta da sessant’anni di rifiuti lasciati da innumerevoli spedizioni, di armare le vie e mettere in sicurezza tutti i tratti pericolanti; la spedizione si preoccupò anche di dare un completamento organico ai rilievi scientifici anche di flora e fauna, di effettuare foto e riprese cinematografiche e di fare precisi rilievi metrici dei percorsi dell'abisso. La spedizione rappresentò la più imponente del suo genere realizzata in grotta e vide impegnati gruppi di speleologi da tutta Italia. Sulla Preta è stato girato il film “L’Abisso” di Anderloni Alessandro e Sauro Francesco; una documentazione video di una spedizione fino alla Sala Nera sul fondo dell’abisso che continua a richiamare speleologi da tutto il mondo. Il film fa parte del progetto “La Spluga della Preta – 1925/2005: ottant’anni di esplorazioni” realizzato dall’Accademia della Lessinia e dalla Federazione Speleologica Veneta con il patrocinio della Regione del Veneto. Per maggiori dettagli www.splugadellapreta.it.
Federico Maccadanza
lunedì 24 maggio 2010
Dal Corriere della Sera
Intercettazioni, appello della Gabanelli
«Se non siete d'accordo, fatevi sentire»
PRIMA DI REPORT
Intercettazioni, appello della Gabanelli
«Se non siete d'accordo, fatevi sentire»
MILANO - «Se non siete d'accordo con questo provvedimento, fatevi sentire nelle sedi competenti perché presto sarà legge». Si è concluso così un breve appello lanciato da Milena Gabanelli, prima della sigla di apertura della puntata di domenica di "Report" su Rai3, in cui la conduttrice ha spiegato le possibili conseguenze del disegno di legge sulle intercettazioni in corso di approvazione da parte del Parlamento: «Se la legge fosse già in vigore, per esempio non sapremmo nulla dello scandalo che riguarda i grandi appalti». La giornalista ha poi ricordato che il provvedimento prevede che gli autori delle registrazioni e delle riprese effettuate senza il consenso dei diretti interessati rischieranno fino a 4 anni di carcere, a meno che non si tratti di giornalisti professionisti. «Distinzione sottile ma di sostanza perché una buona parte dei giornalisti che lavorano nei programmi di inchiesta sono iscritti all'albo dei pubblicisti: non potranno più entrare dentro gli ospedali e documentare come certi medici trattano i pazienti oppure dentro i cantieri dove vengono violate le norme che riguardano la sicurezza sul lavoro». «Siccome un'informazione completa serve a scegliere in libertà e i destinatari di questa informazione siete voi - ha concluso Milena Gabanelli -, valutate, se non siete d'accordo fatevi sentire nelle sedi competenti».
Lettera aperta del presidente dell'Ordine dei Giornalisti Veneto Amadori
Venezia, 23 maggio 2010
Intervento del presidente Gianluca Amadori sul Ddl Alfano
Una Legge vergognosa, che vuole limitare il diritto dei cittadini ad essere informati per proteggere la “casta” dei potenti di turno, e garantire loro l'impunità a cui maggiormente ambiscono: il silenzio dell'informazione.
Sto parlando del Disegno di Legge Alfano, impropriamente conosciuto come Ddl intercettazioni, ma che in realtà non si occupa soltanto di intercettazioni. Il provvedimento in discussione in Commissione Giustizia al Senato prevede, infatti, l'introduzione di pesanti sanzioni economiche per gli editori, nonché sanzioni penali, ammende pecuniarie e sospensione dalla professione per i giornalisti che dovessero avere l'ardire di continuare a fare il proprio “mestiere”: cioè dare notizie ai propri lettori e telespettatori. In particolare si vuole impedire la pubblicazione di tutte le notizie relative ad inchieste penali in corso prima dell'udienza preliminare. Il che significa, nei casi più complessi 4-5 anni e anche di più.
Nel momento in cui scrivo il testo definitivo non è stato ancora approvato integralmente. Ma, al di là di qualche dettaglio in via di definizione, ciò che preoccupa è la “filosofia” che sottende a questa Legge, per approvare la quale i senatori si sono riuniti perfino di notte. L'urgenza non è la crisi economica, le migliaia di aziende che chiudono e i tanti posti di lavoro a rischio, le famiglie che non arrivano a fine mese. L'urgenza per la maggioranza di governo è tappare la bocca ai giornalisti, per impedire loro di continuare a raccontare di ministri che si fanno regalare sontuosi appartamenti; di imprenditori che corrompono pubblici amministratori per aggiudicarsi appalti milionari; di malasanità; di pedofilia e violenze sessuali; di truffe; di scandali nel mondo dell'economia e della finanza, di Calciopoli e dintorni. I cittadini non devono sapere. Devono accontentarsi delle soft news che già oggi “intossicano” i mezzi d'informazione togliendo spazio alle notizie serie, alle inchieste, agli approfondimenti, con la complicità di troppi direttori ed editori che, all'informazione di qualità preferiscono servizi sul matrimonio di qualche velina, oppure sul cappuccino più buono d'Italia (servizio a cui il Tg1 delle ore 20 ha dedicato ampio spazio), sicuramente meno scomodi...
La “casta” al potere vuole che i cittadini vivano nella completa ignoranza per poter continuare a fare i propri comodi; vuole far credere loro che va tutto bene. E continua a prenderli in giro dichiarando che con questa Legge si vuole solo tutelare la privacy. Senza precisare che la privacy da tutelare è quella di personaggi pubblici i quali, al contrario, dobrebbero garantire la massima trasparenza sul loro operato. Intendiamoci: noi giornalisti abbiamo ecceduto pubblicando qualche intercettazione di troppo; coinvolgendo nelle cronache persone per la quali non vi era interesse pubblico. E su questo dobbiamo fare autocritica e impegnarci affinché ciò non accada più. Ma ciò non giustifica la censura che ora si vorrebbe imporre. E non si tratta di difendere un privilegio dei giornalisti: in ballo c'è un pezzo di democrazia. Nei casi più complessi l'udienza preliminare arriva dopo anni: silenziare le cronache fino a quel momento, significherà non poter sapere più nulla, o quasi. Delle indagini su Ustica, ad esempio, gli italiani sarebbero completamente all'oscuro con la nuova Legge, così come su tutte le altre stragi che hanno insanguinato l'Italia. Ma anche su terroristi e mafiosi. I cittadini non avrebbero saputo nulla sulla clinica degli orrori, sui crac Cirio e Parmalat, sulle maestre di Rignano, e neppure sul delitto di Jennifer, su Pietro Maso, sulle morti per amianto, sugli incidenti sul lavoro, soltanto per fare alcuni esempi. Se passerà la nuova Legge si potrà continuare a scrivere soltanto degli sbarchi di poveri clandestini... Anzi, peggio. I potenti potranno decidere di utilizzare gli atti delle inchieste e le intercettazioni per attaccare gli avversari: grazie ai ricchi patrimoni di cui dispongono, infatti, non avranno difficoltà ad accollarsi l'onere delle sanzioni previste. Gli oltre sessanta giornalisti che siedono in Parlamento dovranno spiegare ai cittadini (e ai colleghi) il loro eventuale avallo a questa norma che vuole ridurre il diritto di cronaca; e come il loro voto possa conciliarsi con i principi e i valori del giornalismo e della libertà di stampa.
I giornalisti si opporranno a questa Legge liberticida con tutte le iniziative possibili, anche scendendo in sciopero. Ma tutta la società civile dovrebbe indignarsi di fronte a questo modo vergognoso in cui i cittadini vengono trattati dal potere. Ricordando anche quanto prevede l'articolo 54 della Costituzione, il quale stabilisce per chi ricopre funzioni pubbliche il dovere di adempierle con disciplina ed onore. Dovere che in troppi tra politici e amministratori sembrano aver dimenticato.
Gianluca Amadori
mercoledì 5 maggio 2010
La carota finanziaria e il pericolo di precedente...
Salvare Atene? Non funzionerà
Ciascuno risponda dei propri errori
Il commento
GRECIA
Salvare Atene? Non funzionerà
Ciascuno risponda dei propri errori
Il commento
Il sole ha brillato per 24 ore dopo l’annuncio del piano definitivo-definitivo per «salvare la Grecia» e prevenire il contagio. Non male. Molti di noi erano scettici già domenica, quando il piano è emerso, e molti si sono preoccupati ancora di più quando la Bce ha comunicato che avrebbe assorbito qualunque quantità di titoli greci le banche volessero presentare in garanzia nelle operazioni di pronto contro termine. Se servono 110 miliardi per tirar fuori la Grecia dai guai, quanto servirà per la Spagna? E per il Portogallo? E per l’Italia? E per tutti gli altri? Se la Germania inizia a indebitarsi per salvare uno a uno tutti i Paesi della zona-euro, anche lei fallirà. Così non può funzionare e i mercati lo capiscono, ma i responsabili politici non sembrano affatto capire i mercati. Questi ultimi, simultaneamente, sono preda del panico e speculano per guadagnare. Chiunque abbia bond spagnoli ha buone ragioni per il panico e chi non li ha può realizzare grandi profitti puntando sulla loro caduta.
Coloro che dettero vita al Trattato di Maastricht quasi 20 anni fa lo avevano capito. Videro che uno Stato con le finanze in dissesto avrebbe chiesto aiuto e, con ammirevole lungimiranza, temettero che altri Paesi avrebbero risposto favorevolmente. Il loro timore era che ciò avrebbe incoraggiato ulteriore indisciplina di bilancio e che alla fine la Bce si sarebbe sentita obbligata a assorbire i debiti: è così che sono nate anche le fasi di iperinflazione. Quindi i fondatori di Maastricht hanno inventato la regola contro i salvataggi, che è stata violata dai governi lo scorso week-end e lunedì dalla Bce. Ed eccoci qua, davanti all’abisso. L’unione monetaria è minacciata. Molti commentatori ritengono che ciò riveli un errore di concezione e i responsabili di politica economica promettono già la linea dura sul Patto di stabilità. Sarebbe stato meglio adottare un vero assetto federale, con veri trasferimenti di sovranità nell’autorità di bilancio, ma politicamente non è stato possibile. Tuttora non lo è, dunque rendere più duro il Patto di stabilità non ci porterà da nessuna parte: nessuno può dire a un governo e al suo parlamento cosa fare. L’unica possibilità è dire a un governo che la sua sovranità implica che esso è il solo responsabile per le conseguenze delle sue azioni. Questo sarebbe perfettamente coerente e dunque non c’è nessun errore di concezione nel sistema. A meno che non vogliamo accettare il principio che la violazione della regola contro i salvataggi è un’implicita componente dell’accordo.
The Graduate Institute, Ginevra
martedì 4 maggio 2010
Vinitaly "tra le righe"
Eccoci qui cari lettori del Piave a raccontarvi il Vinitaly "tra le righe"; già perchè Vinitaly non significa solo numeri, contratti, vino e pubblicità. Il servizio che la redazione di Verona ha svolto alla famosissima fiera internazionale del vino vuole essere una telecamera nascosta, un occhio, un orecchio che racconta la storia nascosta, quella che non appare sui giornali perchè genuina e diretta. Si tratta semplicemente della nostra esperienza, del racconto della nostra giornata trascorsa tra gli stands nei padiglioni di Veronafiere.
La nostra giornata inizia con l'arrivo a Veronafiere. Scongiurato il temuto serpentone di automobili, riusciamo a malapena a trovare parcheggio. 100.000 posti auto terminati in poche ore e chi arriva in ritardo parcheggia dove può accendendo qualche polemica tra residenti e Comune. Dopo l’accredito all’ufficio stampa e l’ingresso attraverso un buio corridoio che ricorda un po’ il tunnel sotterraneo che collegava Berlino est a Berlino Ovest, ci dirigiamo verso la sala stampa per ritirare la nostra cartella con tutti gli appuntamenti riservati ai giornalisti (tranne quello inerente alle prospettive del mercato del vino con il Presidente Napolitano riservato ai soli giornalisti invitati dalla prefettura, ufficiali, questori, vice questori, vice questori aggiunti, ai prefetti, ai viceprefetti, onorevoli ed a tutte le autorità particolarmente interessate all’argomento del convegno).
Finalmente possiamo iniziare il nostro servizio. Restiamo piacevolmente sorpresi dalla varietà di visitatori; la maggior parte, rigorosamente in giacca e cravatta, fanno da contorno a quei pochi che hanno preferito il comodo anche se poco elegante abbinamento maglietta-pantaloncino corto. Il Vinitaly è un avvenimento prettamente commerciale (è una fiera durante la quale si stipulano contratti di fornitura e si conoscono nuovi vini per la vendita alle attività commerciali) tuttavia, nonostante l’eleganza e le apparenti pose da veri “buyers”, è facile riconoscere chi è venuto per lavoro e chi per passare un’allegra giornata. Personalmente credo di aver reso quest’ultima idea allo stand della Cantina di Soave dove, dopo essermi presentato come inviato del “Piave” e aver chiesto una cartella stampa per il mio servizio, mi è stato risposto un secco “solo operatori”.
Per nulla scoraggiati dal nostro deludente inizio, proseguiamo la nostra visita; ci ha fatto particolarmente piacere la disponibilità dell’azienda agricola F.lli. “Tedeschi” di Pedemonte di Valpolicella e della responsabile marketing Maria Sabrina Tedeschi che, nonostante non fossimo giornalisti di settore, ci ha aiutato a capire il funzionamento del marketing, della produzione e della maturazione del vino.
Vinitaly non significa solo singole aziende; la Camera di Commercio di Messina in collaborazione con la Provincia di Messina, l’Onav (Organizzazione nazionale Assaggiatori di Vino), il progetto Strade del Vino della Provincia di Messina e il consorzio del vino Faro hanno organizzato, in seno alla Fiera, uno stand condiviso per tutte quelle aziende che, per motivi economici, non hanno avuto la possibilità di partecipare affittando un singolo e costoso stand per produttore. L’interessante iniziativa è molto simile alle “joint venture” locali con le quali più produttori si uniscono e dividono tra loro le spese per il marketing a dimostrazione del fatto che, come ricordava un piccolo produttore piemontese con il quale abbiamo familiarizzato, “il vino può essere buono… ma se non lo sai pubblicizzare non sarà mai ottimo”.
Ma quanto pesa il marketing sul consumo del vino? Con questa domanda lasciamo il Vinitaly tra la gente che affolla i cancelli in uscita.
martedì 13 aprile 2010
IVA sulle tasse...
Faccio rimbalzare la notizia trovata in rete sulla possibilità di chiedere, tramite il codacons il rimborso dell’iva versata sulla tassa rifiuti (TIA – Tariffa di Igiene Ambientale). Secondo la Cassazione l’IVA può essere applicata solo sulle tariffe, e non sulle tasse.
Le società di gestione rifiuti tendono a considerare una tariffa la quota applicata (infatti viene chiamata TIA – Tariffa di Igiene Ambientale) mentre, a quanto pare, la Cassazione ha stabilito, seguendo l’orientamento della Comunità Europea, che quella pagata per lo smaltimento rifiuti sia una tassa e non una tariffa, rendendo inapplicabile l’IVA, che risulterebbe una tassa sulla tassa.
La tariffa, a differenza della tassa, dovrebbe far pagare agli utenti un servizio nella proporzione in cui ne usufruiscono. A quanto pare questa definizione non è applicabile nel caso dei rifiuti. In effetti nessuno controlla quanti rifiuti effettivamente produco, e nessuno mi premia se produco meno rifiuti di altri.
Il Codacons si presta a fornire la consulenza gratuita per la richiesta di rimborso.
La notizia l’ho letta su Fiscaleweb.
aggiornamento
Anche a Le Iene hanno parlato del rimborso TIA, o meglio del rimborso dell’IVA sulla Tarifa di Igene Ambientale. Secondo quanto si evince dal video, il primo ricorso è stato vinto dall’utente, ed il giudice di pace ha ingiunto all’azienda che riscuote la Tassa Rifiuti di rimbosare l’IVA e gli interessi accumulati sulle somme non dovute.
Purtropo però, sul finale del video si comprende come l’azienda che riscuote la Tariffa di Igiene Ambientale non abbia nessuna intenzione di procedere ai rimborsi dell’IVA sulla Tassa Rifiuti, in attesa di prese di posizione del Parlamento.
Convinto di non essere registrato, l’intervistato, responsabile dell’azienda, parla di un procedimento al vaglio del Parlamento che servirà a “cambiare nome” alla TIA, risolvendo il problema… all’italiana.
domenica 11 aprile 2010
Dalla redazione di Report: "Lo Stato dei Conti"
Giovanna Boursier ha percorso il labirinto di norme e leggine incomprensibili non solo ai cittadini, ma anche a parlamentari che le hanno votate. Ogni anno si fanno tagli a Sanita' o Istruzione ma alla fine la manovra finanziaria, nonostante la crisi, con alcuni e' sempre generosa, e cosi' ogni anno vengono concessi, in modo bipartisan, i finanziamenti per il Belice o quelli per i cosiddetti enti inutili. Anche i fondi della ''Legge Mancia'' dal 2005 sono diventati una consuetudine: vengono discussi all'interno delle Commissioni Bilancio delle due Camere dove i parlamentari si spartiscono le quote per i loro territori. Alla fine ce ne e' un po' per tutti: 120mila euro alla congregazione Ave Grazia Plena di Afragola, 66.500 per fare un marciapiede ad Arsie', 50.000 per salvaguardare il parco e la Via Appia, e via con una lunga lista.
Intanto si prova a studiare un nuovo modello di ''autofinanziamento'', per esempio quello di costituire una spa pubblica che valorizzi il patrimonio del Ministero della Difesa. In che modo, e chi lo gestira'?
Redazione Report
giovedì 1 aprile 2010
A Verona vince la Lega, ma “Re Preferenza” è Massimo Giorgetti

La Lega Nord si conferma al primo posto nella provincia veronese con il 36,13 % dei voti, seguita dal Pdl (27.63%), Partito Democratico (16.85%), UDC (6.08%), Italia dei Valori (5.09%), Movimento 5 stelle (2.47%), Unione Nord Est (1.56%), PSI (1.12%), Rifondazione (1.02%), Alleanza di Centro (0.69%), Veneti Indipendensa (0.40%), Nucleare no grazie (0.37%), Forza Nuova (0.35%), Panto (0.18%).
Riconfermati l’assessore uscente Massimo Giorgetti con l’incredibile risultato di 26.360 preferenze (primo assoluto in tutto il Veneto, circa 2.000 voti in più rispetto al collega di partito Bendinelli) e il consigliere uscente Giancarlo Conta.
Per la Lega eletti Tosato Paolo, Bassi Andrea, Cenci Vittorino e Sandro Sandri. Escluso il sindaco di San Mauro di Saline Italo Bonomi con appena 1.214 preferenze nonostante l’appoggio del sindaco di Tregnago Marco Pezzotti recentemente passato alla Lega.
L’Udc conferma l’assessore regionale uscente Stefano Valdegamberi che, con 9.756 preferenze stacca il biglietto per Palazzo Ferro Fini. Valdegamberi sarà tra gli scranni della minoranza poiché l’Udc, differentemente dalle scorse elezioni, non farà parte del gruppo di maggioranza.
venerdì 19 marzo 2010
Esempi di sana politica
La presenza di persone dotate di senso civico e onestà che dedicano ogni giorno il loro tempo alla gestione della "cosa pubblica" permette a tutti noi di guardare con buon auspicio al futuro.
Ecco il testo mandatomi gentilmente dalla redazione di Report:
La Goodnews di questa settimana s'intitola ''SENZA INDENNITA''' di Giuliano Marrucci.
In questo periodo di magra per le casse comunali, nel piccolo comune di Annone Brianza, in provincia di Lecco, da tre anni, quando si arriva a chiudere il bilancio ci si trova piu' quattrini del previsto. Nessuno sa da dove arrivino, fino a quando il sindaco Carlo Colombo e' costretto ad ammettere ''sono i soldi della mia indennita'''. Un caso di politica fatta per passione. Ma non e' il solo. Sempre in provincia di Lecco, dal 2004, il sindaco Egidia Beretta Arrigoni i suoi soldi li storna tutti in un fondo di solidarieta'. La missione? Tenere in piedi la scuola materna della parrocchia, sistematicamente a corto di quattrini. E se invece del solo sindaco a rinunciare all'indennita' sono tutti i membri di giunta e consiglio, le cose si fanno interessanti. Come a Carpasio, provincia d'Imperia. Oppure a Montevecchia, dove questa abitudine continua ininterrotta addirittura da oltre venti anni.
mercoledì 10 marzo 2010
Commenti non pubblicati sul sito di Renata Polverini...
Come sapete il Presidente Napolitano ed il Presidente Berlusconi hanno firmato un decreto-legge (decretazione d'urgenza con effetto immediato e quindi non vagliabile in Parlamento)"interpretativo" per fare in modo di riammettere la lista Pdl nel Lazio...
Ripropongo la lettera che Giorgio Napolitano ha scritto ai cittadini che esprimevano viva preoccupazione per un provvedimento del genere:
Egregio signor Magni, gentile signora Varenna,
ho letto con attenzione le vostre lettere e desidero, vostro tramite, rispondere con sincera considerazione per tutte le opinioni dei tanti cittadini che in queste ore mi hanno scritto.
Il problema da risolvere era, da qualche giorno, quello di garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici. Non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall’ufficio competente costituito presso la corte d’appello di Milano. Erano in gioco due interessi o “beni” entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi. Non si può negare che si tratti di “beni” egualmente preziosi nel nostro Stato di diritto e democratico.
Si era nei giorni scorsi espressa preoccupazione anche da parte dei maggiori esponenti dell’opposizione, che avevano dichiarato di non voler vincere – neppure in Lombardia – “per abbandono dell’avversario” o “a tavolino”. E si era anche da più parti parlato della necessità di una “soluzione politica”: senza peraltro chiarire in che senso ciò andasse inteso. Una soluzione che fosse cioè “frutto di un accordo”, concordata tra maggioranza e opposizioni?
Ora sarebbe stato certamente opportuno ricercare un tale accordo, andandosi al di là delle polemiche su errori e responsabilità dei presentatori delle liste non ammesse e sui fondamenti delle decisioni prese dagli uffici elettorali pronunciatisi in materia. In realtà, sappiamo quanto risultino difficili accordi tra governo, maggioranza e opposizioni anche in casi particolarmente delicati come questo e ancor più in clima elettorale: difficili per tendenze all’autosufficienza e scelte unilaterali da una parte, e per diffidenze di fondo e indisponibilità dall’altra parte.
Ma in ogni caso – questo è il punto che mi preme sottolineare – la “soluzione politica”, ovvero l’intesa tra gli schieramenti politici, avrebbe pur sempre dovuto tradursi in soluzione normativa, in un provvedimento legislativo che intervenisse tempestivamente per consentire lo svolgimento delle elezioni regionali con la piena partecipazione dei principali contendenti. E i tempi si erano a tal punto ristretti – dopo i già intervenuti pronunciamenti delle Corti di appello di Roma e Milano – che quel provvedimento non poteva che essere un decreto legge.
Diversamente dalla bozza di decreto prospettatami dal Governo in un teso incontro giovedì sera, il testo successivamente elaborato dal Ministero dell’interno e dalla Presidenza del consiglio dei ministri non ha presentato a mio avviso evidenti vizi di incostituzionalità. Né si è indicata da nessuna parte politica quale altra soluzione – comunque inevitabilmente legislativa – potesse essere ancora più esente da vizi e dubbi di quella natura.
La vicenda è stata molto spinosa, fonte di gravi contrasti e divisioni, e ha messo in evidenza l’acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali. E’ bene che tutti se ne rendano conto. Io sono deciso a tenere ferma una linea di indipendente e imparziale svolgimento del ruolo, e di rigoroso esercizio delle prerogative, che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica, nei limiti segnati dalla stessa Carta e in spirito di leale cooperazione istituzionale. Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al Capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri.
Cordialmente
Giorgio Napolitano
Leggendo i commenti entusiasti dei frequentatori del sito della Polverini, ho pensato di mandare al sito anche la mia opinione:
Non sono d’accordo. Il decreto è in aperta violazione della legge 400/1988 in materia di decretazione d’urgenza la quale vieta la decretazione in materia elettorale; pertanto il Presidente ha firmato un decreto illegale.
Il decreto è, oltretutto, in aperta violazione con la Costituzione la quale garantisce, all'articolo 3, l’uguaglianza di fronte alla legge; il decreto si riferisce esclusivamente e specificatamente alla fattispecie del caso della presentazione della lista del Pdl.
(aggiungo ora che le altre liste non hanno beneficiato di questa improvviso "condono"... perchè? Sono figlie di un Dio minore? Ho diritto di vedere la mia lista riammessa, come dice Napolitano, solo quando questa fa parte del Governo? Che democrazia è questa che tratta in maniera diversa soggetti uguali?)
Utilizzare l’espressione “serve per garantire la democrazia” è capzioso in principio; come sancisce l’articolo 1 della Costituzione (la sovranità spetta al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione). Tali limiti sono sanciti nella parte prima, titolo quarto, articolo 48.
Non si può predicare il rispetto delle istituzioni quando queste (la legge è l’istituzione primaria) vengono palesemente violate dallo stesso predicatore.
Non tutto è opinabile…
Con rispetto di Renata che reputo una donna in gamba e sopratutto onesta.
Spero sia pubblicato…
Cosa che non avvenne... per ovvi motivi!
Ah verità quanto mi costi...
venerdì 12 febbraio 2010
Caro Presidente... è deficitario di conoscenza chi esprime un'opinione diversa?
e volgari sull'Unità d'Italia»
«Grave deficit di conoscenze storiche diffuse di cui soffrono intere generazioni di italiani»
Giorgio Napolitano (Lapresse)
ROMA - Il presidente della Repubblica ha attaccato «i rumorosi detrattori dell’Italia unitaria» nel corso del suo intervento all’Accademia dei Lincei al convegno Verso il 15o° dell'Italia unita: tra riflessione storica e nuove ragioni di impegno condiviso. Giorgio Napolitano ha parlato del «grave deficit di conoscenze storiche diffuse di cui soffrono intere generazioni di italiani» e criticato i «giudizi sommari e pregiudizi volgari sul formarsi dell’Italia unita» condannando «i bilanci di stampo liquidatorio sul cammino intrapreso dal Paese dopo il 1861». Secondo Napolitano, la negazione dell'unità d'Italia è frutto di una «deriva di vecchi e nuovi luoghi comuni, di umori negativi e di calcoli di parte». Infine un'esortazione: «Bisogna reagire all'eco che suscitano in sfere lontane da quella degli studi più seri i rumorosi detrattori dell'unità italiana».
RESISTENZA - Il capo dello Stato ha poi ricordato il contributo della Resistenza per la riconquista dell’unità nazionale: «Un moto di riscossa partigiana e popolare di cui nessuna ricostruzione storica può giungere a negare il valore».
NORD-SUD - Il più grave motivo di divisione e debolezza che insidia la nostra unità nazionale, ha detto il presidente, è la divaricazione e lo squilibrio tra Nord e Sud. «Affrontare nei suoi termini la questione meridionale è un dovere della comunità nazionale e un impellente interesse comune per garantire all’Italia un più alto livello di sviluppo e di competitività. Non c’è alternativa al crescere di più e meglio insieme».
Dopo avre fatto l'Italia occorre fare gli Italiani diceva qualcuno...
ma è innegabile che l'Italia è stata fatta da una piccola elitè di pensatori...
forse la piemontizzazione delle regioni nord orientali e la violenza dell'ordinamento amministrativo locale fatto con la legge Rattazzi del 1861 è conosciuto solo da chi è "deficitario di conoscenza" come afferma il Presidente Napolitano (lo stesso Presidente che affermò la fine della crisi economica quando migliaia e migliaia di persone erano cassaintegrate o licenziate).
Ah quanto mi costi Verità!
lunedì 8 febbraio 2010
Pillole...
Di sicuro la ricerca italiana è merito nè della Gelmini, nè di Mussi, nè della Moratti... nè dei soldi pubblici che al posto di essere investiti in ricerca vengono utilizzati per finanziare i film o per mantenere qualche nullafacente...
come si dice? E' meglio tacere e sembrare ignorante piuttosto che aprire bocca e confermarlo.
dal Corriere della Sera di Pietro Ichino
Un lusso anche i contratti di serie B Nessuno pensa al Welfare dei figli
Caro Direttore, il ministro Renato Brunetta ha molta ragione quando avverte che il diritto del lavoro, e in particolare l'articolo 18 dello Statuto del 1970, oggi si applica soltanto ai padri e non ai figli. Gli italiani, però, hanno diritto di sapere che cosa il ministro propone seriamente— e non soltanto con una battuta in un talk show —per superare il regime di apartheid che penalizza la nuova generazione di lavoratori.
È vero: da anni, ormai, a un ventenne o trentenne che cerca lavoro in Italia le aziende offrono di tutto, tranne che un rapporto di lavoro regolare. E anche un rapporto di lavoro di serie B —«a progetto», o comunque a termine— è già considerato, in molte situazioni, un privilegio difficilmente ottenibile, rispetto alla «normalità», costituita dal lavoro di serie C: stage semigratuiti in azienda tutto lavoro e niente formazione, assunzione con partita Iva per mansioni d’ufficio, di cantiere, di negozio, di call center, di magazzino, che erano tradizionalmente considerate come lavoro dipendente. Case editrici in cui da anni non si assume più un redattore o un correttore di bozze con un contratto normale di lavoro dipendente; case di cura private che formalmente non hanno alle proprie dipendenze neanche un solo medico, un solo infermiere, un solo barelliere: tutti a partita Iva, oppure soci di cooperative di lavoro a cui il servizio viene appaltato.
Stessa musica nel settore pubblico, dove ormai domina sempre più diffusamente l’«esternalizzazione» delle funzioni mediante cooperative e altri appaltatori, che utilizzano ogni forma di lavoro atipico. Accade pure che dopo un periodo più o meno lungo di anticamera anche un ventenne o trentenne finisca coll’ottenere l’agognato posto di lavoro stabile regolare; ma il punto è che il datore di lavoro ha di fatto la possibilità di scegliere che il lavoratore, anche se sostanzialmente dipendente, resti escluso dalla protezione regolare per decenni. In altre parole: il diritto del lavoro sta perdendo la sua natura di standard minimo di trattamento universale, per assumere la natura di un ordinamento eminentemente derogabile: chi vuole lo applica e chi non vuole no. Naturalmente, poi, quando viene la bufera, a pagare per primi sono sempre i non protetti: i 500 mila lavoratori italiani che hanno perso il posto nei mesi passati di recessione sono ovviamente quasi tutti di serie B e C. Dunque: il ministro fa bene ad aprire gli occhi su questa realtà, a riconoscere che il nostro mercato del lavoro e il nostro sistema di protezione sociale non sono affatto «i migliori del mondo», come egli stesso ci ha detto solo pochi mesi or sono. Ma deve anche dire quale è la sua diagnosi del fenomeno e quale la terapia che propone. Una cosa è certa: il problema non è soltanto di controlli e di repressione delle frodi. Controllo e repressione servono quando la violazione o elusione delle regole è un fenomeno marginale; quando invece— come oggi accade per il nostro diritto del lavoro —violazione ed elusione diventano un fatto normale su larga scala, è l’ordinamento stesso che deve essere rifondato. La disciplina italiana del rapporto di lavoro regolare è vecchia ormai di oltre quarant’anni. È stata scritta quando non esistevano né i computer, né Internet, ma neppure i fax e le fotocopiatrici; quando era normale che un giovane entrasse in un’azienda con la prospettiva di restarci per trenta o quarant’anni svolgendo la stessa mansione, più o meno con gli stessi strumenti e le stesse tecniche. Oggi il tempo di vita di una tecnica produttiva (ma anche di un prodotto o di un materiale) non si misura più in decenni, ma in anni o addirittura in mesi; le imprese nascono e muoiono con un ritmo incomparabilmente più rapido rispetto ad allora.
Così stando le cose, la sicurezza economica e professionale dei lavoratori non può più essere affidata al modello del «posto fisso». Ed è in larga misura inevitabile che le imprese facciano di tutto per eludere, nelle nuove assunzioni, una disciplina della stabilità del lavoro, come quella dettata dall’articolo 18 dello Statuto del 1970, che condiziona lo scioglimento del rapporto di lavoro per motivi economici od organizzativi a un controllo giudiziale che può richiedere due, quattro o sei anni; e al Sud anche otto o dieci. La soluzione, allora, non è togliere l’articolo 18 ai padri, ma riscrivere il diritto del lavoro per i figli, per le nuove generazioni; in modo che esso torni capace di applicarsi davvero a tutti i rapporti che si costituiranno da qui in avanti. E garantire davvero a tutti non l’impossibile «posto fisso», ma quella protezione contro le discriminazioni e quella rete di sicurezza nel mercato, da cui oggi la nuova generazione dei lavoratori italiani è per la maggior parte esclusa.
di Pietro Ichino
08 febbraio 2010
Come si può avere rispetto per questp Paese quando esso stesso non rispetta i propri figli?
giovedì 14 gennaio 2010
DRACULA? FAMOSO E CATTIVO PERCHE’ STRUMENTALIZZATO

La più famosa icona del romanzo gotico, il conte non-morto, l’incubo dei vivi creato dallo scrittore irlandese Bram Stoker è stato, in realtà, un famoso voivoda (signore-comandante) della Valacchia tra il 1448 ed il 1476. Considerato un eroe in Romania, un carnefice sanguinario in Europa occidentale ed uno statista in Russia (sembra che Ivan III si sia ispirato a lui per fondare la moderna autocrazia zarista) Vlad Dracula, detto l’Impalatore per il supplizio che riservava ai suoi nemici, appare come una delle figure più enigmatiche della storia.
L’archivista paleografo Matei Cazacu cerca di ricostruire il profilo del celebre signore basandosi esclusivamente sulle testimonianze storiche; ne esce tuttavia un’immagine variegata di Dracula. In realtà è necessario inserirsi nel contesto storico; la Valacchia tra il XIV ed il XV secolo era una terra cuscinetto tra l’Impero Ottomano ed il Regno d’Ungheria, terra influenzata dai continui complotti che ambo le parti attuavano per insediare un sovrano “amico”. Assassinii politici, intrighi, incursioni ottomane ed ungheresi e la crescente influenza dei boiardi, rappresentavano un vero pericolo per i voivoda che, nella maggior parte dei casi, venivano assassinati sul trono. Vlad Dracula fu cinico e spietato con i nemici che ambivano al potere e, allo stesso tempo, intransigente nel difendere i sudditi dagli invasori; dalle testimonianze raccolte da Cazacu si può affermare che il vampiro di Stoker non era altri che un uomo di potere. Il supplizio del palo era un metodo di morte comune nella futura Romania(Transilvania, Moldavia, Valacchia); la macabra usanza non è quindi distintiva ed esclusiva di Vlad Dracula.
Ma perchè ci è giunta un’immagine così funesta del sovrano Valacco?
Molto probabilmente a causa dell’opera di diffamazione di Mattia Corvino Re d’Ungheria (1440-1490) per sottrarsi dall’intraprendere una crociata al fianco di Dracula contro gli Ottomani che avevano invaso le terre romene. Il Corvino era in quel periodo in lotta con l’imperatore d’Austria Federico III nella contesa per il trono d’Ungheria; una crociata non gli avrebbe permesso di dedicare tempo e denaro nella sua lotta personale contro Federico III. Per giustificare il suo diniego fece arrestare Dracula e si giustificò con il Papa sottolineando la crudeltà del voivoda. In seguito iniziarono a diffondersi in Ungheria e nelle città germaniche i primi pamphlet (brevi racconti) sulla “storia del voivoda Dracula” come quasi a giustificare la decisione politica di Mattia Corvino. In questi si raccontavano episodi truci; foreste di pali, massacri indiscriminati contro religiosi e contadini, ambasciatori impalati solamente per non essersi tolti il copricapo in presenza del sovrano, ecc.
Attualmente in Romania Vlad l’Impalatore è considerato un eroe nazionale, un difensore della cristianità e della patria contro gli invasori, la casa natale è per l’Unesco “patrimonio dell’umanità”.
Appaiono testimonianze anche in Russia dove il segretario di Ivan III Teodoro Kuricyn, inviato come ambasciatore in Valacchia, scrisse un manuale di politica per i futuri zar; le gesta di Vlad secondo Kuricyn rappresentano un modello politico per la fondazione del moderno centralismo zarista. Il manoscritto russo diventò il manuale privilegiato da Ivan III, come lo fu “il Principe” di Macchiavelli per Lorenzo il Magnifico.
Nel mondo occidentale l’ombra di Dracula “il vampiro” copre la figura di Vlad l’Impalatore molto probabilmente perchè Bram Stoker si basò (per ovvie ragioni) esclusivamente al pamphlet apparso nelle città tedesche. Lo scrittore irlandese colloca Dracula in Transilvania non per un errore storiografico ma solamente perchè gli ultimi discendenti in linea femminile del voivoda si insediarono nel distretto di Bistrita nell’omonima città. Come afferma Cazacu “Vlad III Dracula oscillava tra pietà e crudeltà, spirito cavalleresco e tradimenti, finezza politica e brutalità. Un personaggio complesso, dipinto come un carnefice dai suoi nemici, esaltato come l’eroe della lotta contro gli Ottomani dai suoi alleati, trasformato in un romantico vampiro da registi e romanzieri. Ma qual’era la realtà?”
Federico Maccadanza
sabato 9 gennaio 2010
Pianificazione dello sviluppo veronese? Ecco il Crevv
Secondo Giovanni Miozzi le ragioni che hanno portato al Crevv stanno nel vantaggio della rete :
"La Provincia vuole esercitare un ruolo di sintesi tra le istanze presenti sul territorio e diventare interlocutore privilegiato in tutti i contesti regionali, nazionali ed europei, nei quali Verona debba giocare un ruolo di primo piano per il suo sviluppo". Presente anche l’Università degli Studi di Verona con il Rettore Mazzucco; l’ateneo scaligero dovrà giocare un ruolo di primo piano nell’ambizioso progetto. La lungimiranza dei piani di sviluppo dipende in gran parte dalle persone che li portano avanti. Verona ed il Veneto hanno bisogno di giovani menti che sappiano gestire risorse e mezzi; il nostro capitale più grande sta nel coltivare e nel formare questi giovani laureati che saranno il motore dello sviluppo futuro.
Ecco i partecipanti al Crevv: Aeroporto Catullo, Ance Verona, Api industria Verona, Atv, Autostrade del Brennero, Banco Popolare, Camera di Commercio, Centro servizi per il volontariato della provincia di Verona, Cgil, Cisl, Uil, Collegio dei geometri di Verona, Collegio ingegneri e architetti, Comune di Verona, Confcommercio, Confindustria, Consorzio Zai, ente Fiera, Coldiretti Verona, Fondazione Arena, Fondazione Cariverona, Ordine degli architetti paesaggisti pianificatori e conservatori di Verona, Prefettura, Società autostrada Serenissima, Ulss 20-21-22, Università degli Studi di Verona.
Federico Maccadanza
E’ la piccola e media impresa il vero motore dell’Italia

La piccola e media impresa italiana rappresenta il motore dell’economia italiana. Quante volte lo abbiamo sentito dagli esperti, dagli economisti, dai politici; eppure sui media si parla di crisi della produzione solo quando ciò riguarda grandi stabilimenti, grandi fabbriche, grandi imprenditori e grandi sindacati. Cosa ci ha insegnato la crisi internazionale? Molto poco se guardiamo le realtà regionali caratterizzate dalla piccola e media impresa. Già negli anni settanta il “sistema distretto” ha dimostrato la formula della sua validità; un modo di fare impresa che ancora oggi rappresenta un modello vincente per battere la concorrenza sempre più agguerrita che viene da Oriente.
Ma come può un sistema migliorare senza l’appoggio ed il sostegno delle istituzioni? Osservando i dati raccolti da Confcommercio del giugno 2009 vediamo che ben il 57% di un campione di piccoli imprenditori sostiene che la pressione fiscale è troppo elevata e non sostenibile; il 66% dello stesso campione sostiene che l’eccessiva pressione fiscale è dovuta ad un cattivo utilizzo di risorse pubbliche. Dai dati pubblicati sul sito www.pmi.it si precisa che i fattori che più incidono sulla competitività delle aziende sono, per il 75 % del campione, la pressione fiscale e, per il 61% dello stesso, l’eccessiva burocrazia (si precisa che gli intervistati avevano a disposizione più di una risposta). Dato più allarmante sta nella quantificazione della pressione fiscale; per il 65% delle piccole e medie imprese la pressione fiscale supera il 50% (fonte Confcommercio).
La particolarità delle pmi (piccole e medie imprese) sta nella loro capacità di coltivare il capitale umano, di accrescere la conoscenza e di conseguenza l’innovazione (quest’ultima ne rappresenta il vantaggio competitivo caratterizzante).
Da questo punto di vista le pmi ed il sistema distrettuale appaiono istituzioni da preservare e valorizzare; una pressione fiscale troppo elevata rischia di soffocare sul nascere le nuove pmi. Alle distorsioni del mercato locale si aggiungono quelle della crisi economica, del finanziamento “a pioggia” non mirato al sostegno di piani di medio e lungo periodo.
Una pubblica amministrazione “pesante” rischia di rallentare lo sviluppo aziendale; secondo il 59 % delle pmi le cause più frequenti della difficoltà di rapporto con la pubblica amministrazione hanno a che fare con il cambiamento continuo di norme e con la loro (alcune volte anche inutile) complessità. Il quadro che si profila osservando tali dati non è incoraggiante; la maggioranza degli italiani (e quindi la maggioranza del consenso politico) tende a focalizzare il sistema produttivo con quello della grande impresa. In realtà il passato ha già dimostrato che, in periodi difficili, caratterizzati ora più che mai dalla concorrenza spietata dei colossi orientali, il modello pmi tende ad assumere il vantaggio competitivo perchè basato sulla qualità e sull’innovazione.
La politica sembra non comprenderne l’importanza; l’elevata pressione fiscale per le aziende virtuose da una parte e il “perdono fiscale” per i cittadini meno onesti (campioni del motociclismo e del ciclismo a parte) non fanno che confermarlo.
In una recente intervista i vertici di Apindustria Verona Arturo Alberti e Fabio Coltri, in occasione del bilancio di fine anno 2009 dell’associazione, rivolgono un appello a tutti i politici che riassume quanto scritto fino ad ora: " Vengano a trovarci in azienda. Vengano a parlare con i dipendenti. Vengano a vedere qui sul campo cos’è la crisi. Li aspettiamo perchè vedano direttamente quello che noi ed i dipendenti vediamo tutti i giorni da mesi".
"Gli imprenditori seri credono nelle loro aziende e ci investono. In questo periodo il patrimonio dei singoli imprenditori è dato a garanzia delle aziende. Non sono i piccoli e medi imprenditori che hanno portato all’estero miliardi di euro e che usufruiscono dello scudo fiscale; non è possibile che ancora oggi con la tempesta finanziaria ancora in atto, siano favoriti gli impieghi in investimenti finanziari rispetto agli investimenti in aziende".
Federico Maccadanza
Verona assediata dai luoghi comuni di Balotelli


Ci risiamo. Per fortuna non si tratta più di un omicidio in pieno centro ma solo delle dichiarazioni dell’attaccante di colore dell’Inter Balotelli che ha dichiarato, al termine della partita Chievo-Inter: "ogni volta che vengo a Verona, il pubblico mi fa sempre più schifo". Affermazione che ha suscitato uno scandalo nazionale con il solito walzer di commenti, ovviamente non supportati dai fatti, sui più noti programmi televisivi. La polemica si è presentata tanto rapida quanto di breve durata che i più alti rappresentanti della città scaligera (il sindaco di Verona Tosi ed il patron del Chievo Campedelli) hanno temuto di dover affrontare l’ennesima battaglia contro il puntuale linciaggio mediatico. Chi abita a Verona ben conosce il meccanismo; il pericolo di strumentalizzazione politica (anche alla luce delle prossime elezioni regionali) risulta molto alto.
La bomba ad orologeria è stata fortunatamente disinnescata dall’improvvisa marcia indietro dello stesso attaccante che, in una dichiarazione sul suo sito personale, chiede scusa del suo comportamento. Le tempestive scuse però non lo hanno esonerato da una multa di 7.000 euro per aver offeso il pubblico del Chievo, tifoseria da sempre considerata come un modello da seguire per la proverbiale correttezza e sportività. Nonostante la polemica si sia smorzata immediatamente,la senatrice Garavaglia, eletta nelle liste del Pd, in una dichiarazione fatta un giorno prima delle scuse di Balotelli afferma:" Mi sembra inaccettabile che alcuni esponenti delle istituzioni, a partire dal sindaco di Verona, attacchino Mario Balotelli sul piano personale per le sue dichiarazioni dopo Inter-Chievo. Anche io, come parlamentare eletta in quella citta', trovo discutibili le generalizzazioni dell'attaccante interista, ma non credo che gli si debba rispondere definendolo un immaturo. In ogni caso, se Tosi vuole davvero respingere le accuse del bomber, si impegni in prima persona nel preservare l'immagine antirazzista di Verona. Purtroppo, la giunta comunale scaligera su questo argomento non sempre e' credibile". Pronta la replica del sindaco Flavio Tosi:
" Verona non è assolutamente una città razzista, ma anzi ospitale e accogliente: per dimostrarlo, non occorre alcun particolare impegno dell’Amministrazione comunale, oltre alle normali e ingenti attività che svolge nei campi dell’integrazione e dell’assistenza, ma basta ricordare che Verona è ai vertici in Italia, secondo gli ultimi dati del CNEL, per quanto riguarda il livello di integrazione degli stranieri con la popolazione locale. Semmai – aggiunge Tosi – la senatrice Garavaglia dovrebbe rivolgere l’invito a difendere la nostra città da accuse di razzismo a quei suoi colleghi di partito (o comunque schierati a sinistra) che da anni sono impegnati a diffondere a livello nazionale la falsa immagine di una Verona razzista. Non oso immaginare quale ondata di accuse e calunnie si sarebbe abbattuta sulla nostra città, se il gravissimo episodio dell’incendio appiccato al giaciglio di un senzatetto, anziché a Venezia fosse accaduto a Verona. Ma nessuno, giustamente, ha parlato di una Venezia razzista e discriminatrice". Quanto al giudizio di “immaturo” da lui attribuito a Balotelli (che con le sue dichiarazioni ha offeso personalmente ogni cittadino veronese) il Sindaco, nel rilevare che tale aggettivo per definire l’atteggiamento di ieri del calciatore interista è stato usato anche da altri commentatori della vicenda (da ultimo il giornalista Gian Antonio Stella, non certo sospettabile di xenofobia), osserva che "chi lo ammira come calciatore e gli vuol bene come persona, oltre che criticare duramente le vergognose offese che gli vengono rivolte in quasi tutti gli stadi italiani – ma non ieri al Bentegodi – deve anche invitare lo stesso Balotelli a un comportamento più maturo e rispettoso verso i suoi colleghi calciatori e verso il pubblico: sarebbe la risposta migliore ai cori razzisti nei suoi confronti".
Le dichiarazioni si commentano da sole. Il caso “Balotelli” ci ha riportati nel passato: l’omicidio Tommasoli e il caso del professor Marsiglia (poi rivelatosi un messinscena che quasi costò le dimissioni all’ex ministro Bianco per aver definito razzista e fascista la città di Verona) sono i più eclatanti. Avvenimenti più o meno tragici, che meriterebbero più raziocinio, vengono affrontati sistematicamente come casi “politici”; non importa più il fatto in sé ma solamente il contesto in cui avviene. Sfortunatamente il comune pensare del “popolino” (specie nelle trasmissioni e nei media che puntano esclusivamente allo share e non alla veridicità dell’informazione) e l’opportunismo politico innescano il meccanismo perverso dello sciacallaggio mediatico.
Per tutti i casi passati e futuri di “razzismo” vero o falso che sia, Verona fungerà sempre come una gigantesca cassa di risonanza. La Città della Scala sarà sempre assediata dai luoghi comuni di Balotelli.
Federico Maccadanza